Il sentiero di Corradino
Il Sentiero Corradino ripercorre, attraverso il territorio della Marsica, l'itinerario seguito dal giovane principe svevo della casata degli Hohenstaufen per raggiungere i Piani Palentini. Là ebbe luogo lo scontro passato alla storia col nome di “battaglia di Tagliacozzo”, che decise le sorti del Regno di Sicilia e dell'Italia Meridionale. L'itinerario proposto fa tappa sui luoghi della battaglia, per poi salire da Scurcola Marsicana al Monte San Nicola, dove Corradino sostò prima dello scontro. La breve salita offre un'ampia vista sui Piani e su tutta la zona della Marsica.
Il quadro ambientale
Siamo in Abruzzo, nella parte occidentale del territorio della Marsica, vicino al confine con il Lazio, al centro di un'area di grande valore ambientale, adiacente ai Monti Simbruini, situata tra il Parco naturale regionale del Velino Sirente a nord-est, e il Parco nazionale d'Abruzzo a sud-est.
Il territorio è caratterizzato dai rilievi dei monti Carseolani, ricchi di fenomeni carsici, che si sviluppano in direzione nord-ovest – sud-est tra le alte valli dei fiumi Salto e Turano.
L'itinerario si svolge sul territorio di un sottogruppo dei Monti Carseolani, quello del Monte Faito. Questo gruppo, situato al limite nord-est del resto della catena e caratterizzato anch’esso da geologia calcarea, si erge sulla sponda sinistra del Fiume Salto (che in questo tratto prende il nome di Imele). Il profilo della catena comincia con la cima del Monte Val di Varri a 1374 m, prosegue con il Monte della Nebbia (1327 m) e si eleva nella vetta maggiore del Monte Faito (1455 m), per poi ridiscendere al colle su cui sorge il diruto castello di San Donato e terminare quindi con i monti Castiglione, Tagliata e San Nicola sui Piani Palentini. Amministrativamente il territorio, col suo centro più grande che è Tagliacozzo, ricade nella provincia dell'Aquila. Tutta l'area è facilmente accessibile dalle autostrade A24 e A25, che la costeggiano rispettivamente a ovest e a nordest.
Il contesto storico
"…E là da Tagliacozzo, ove senz'arme vinse il vecchio Alardo…” (Inferno, canto XXVIII, vv. 17-18).
Il territorio della Marsica era luogo di confine tra il Patrimonium Petri e il regno dell’Italia meridionale non solo nell’Ottocento, ma già sei secoli prima. Qui ebbe luogo il 23 agosto 1268 lo scontro, passato alla storia col nome dantesco di battaglia di Tagliacozzo, che decise le sorti dell’Italia meridionale. Ad affrontarsi sul terreno dei Piani Palentini c’erano, da una parte, sotto l'insegna dell'aquila, le armate di Corradino di Svevia, sedicenne erede del sogno di una monarchia universale germanica, sceso in Italia per riunire il regno di Sicilia ai domini germanici; dall’altra, sotto lo stemma del giglio, l’esercito di Carlo d’Angiò, fratello del pio Enrico IV Re di Francia e fedele a Papa Clemente IV, da quest’ultimo investito della sovranità sui territori del meridione d’Italia.
Lo scontro si consumò nel territorio tra Scurcola, Magliano, Cappelle e il colle di Albe e fu un esempio di strategia militare: a vincere fu infatti la casata angioina, nonostante la manifesta inferiorità numerica, grazie a uno stratagemma ideato dall’astuto Alardo di Valery.
Sulla precisa localizzazione delle truppe dei due eserciti non esiste parere univoco da parte degli storici, mentre più concorde risulta la ricostruzione degli eventi. I soldati guidati da Corradino, numericamente superiori, sferrarono l’attacco la mattina del 23 agosto e dispersero le truppe angioine. Fra queste c’era Enrico di Cousance, che, su suggerimento di Alardo, indossava le insegne regie. I soldati di Corradino caddero nell’inganno e lo uccisero, ritenendolo Carlo d’Angiò. Convinti della vittoria, si lanciarono al saccheggio del campo nemico. Questo diede al sovrano angioino la possibilità di sferrare un attacco a sorpresa, lanciando sul campo delle milizie di riserva con le quali, sempre su suggerimento di Alardo, si era nascosto nei boschi vicini. Le truppe angioine, pur se esigue (circa 800 uomini) e grazie all’effetto sorpresa, ebbero facilmente ragione dell’esercito svevo, che s’era già disperso nei saccheggi, nel riposo e nei festeggiamenti.
Corradino sfuggì al massacro e, con alcuni suoi compagni sopravvissuti, si diresse alla volta di Roma. Dopo aver marciato per vari giorni nelle campagne laziali, trovò ospitalità presso il castello di Astura, vicino l'attuale Nettuno. Ma la sosta sul litorale laziale ebbe conseguenze tragiche per l'erede della casata sveva: Giovanni di Frangipane, signore del luogo, in cerca di favori presso l’Angiò, lo tradì e glielo consegnò. Portato a Napoli, il giovane Konrad, ultimo figlio dell'aquila sveva, venne sommariamente processato e decapitato nell’attuale Piazza del Mercato.
L'itinerario
Usciti dall'autostrada A25 al casello di Magliano de Marsi, si è già nei Piani Palentini, teatro dello storico evento. Si procede in direzione di Scurcola Marsicana. Poco prima che lo svincolo immetta sulla statale n. 5 che porta a Tagliacozzo, in località La Muraccia, volgendo lo sguardo sui campi a destra della strada, sono visibili i ruderi di Santa Maria della Vittoria, l’abbazia cistercense fatta erigere da Carlo d'Angiò in ringraziamento per la vittoria ottenuta. Alle spalle dei ruderi si vede il vicino Monte San Nicola con la croce in vetta, e adagiato alle sue pendici l'abitato di Scurcola.
I ruderi si trovano all'interno di un'area coltivata, avvolti da un folto gruppo di alberi. Si entra in una stradina sterrata circa 200 m dopo aver visto i ruderi dallo svincolo, dove questo si immette sulla statale. Qui si lascia la macchina davanti al cancello di una cascina, si prosegue a piedi per 50 m e si vede sulla sinistra una parete della chiesa scampata alle ingiurie del tempio. Chiedendo invece il permesso ai proprietari della tenuta, si può entrare sul loro terreno e avvicinarsi ai resti della chiesa. Qui si trova una cappellina, costruita in età moderna, contenente una riproduzione della statua lignea della Madonna della Vittoria.
Ripresa l'auto si prosegue sulla statale n. 5 in direzione di Scurcola Marsicana. Entrati in paese, si sale fino agli ultimi edifici, il castello (attualmente in restauro) e la chiesa, eretti sulle pendici del Monte San Nicola. Il giovane Corradino avrebbe dormito nel castello la notte di vigilia della battaglia. Si visita la nuova Chiesa della Vittoria, fatta ricostruire da Federico di Borbone nel 1849, in tempi prossimi all'unificazione d'Italia sotto i Savoia, per rinsaldare a livello storico e ribadire la legittimità del dominio della dinasta borbonica sull'Italia meridionale.
Sopra l'altare si può ammirare la statua lignea della Madonna della Vittoria, trasportata qui dopo la rovina della chiesa di Santa Maria della Vittoria ai Piani Palentini. Della medievale abbazia cistercense si può osservare una ricostruzione nella cappella centrale della navata sinistra.
Lasciata la macchina nel piazzale antistante la chiesa, si costeggia il castello, e si prende alle sue spalle una comoda sterrata che comincia a risalire dolcemente il Monte San Nicola. Dopo pochi metri, sulla sinistra c'è una breve deviazione che porta a una cappellina degli alpini, dipinta di verde. Dalla deviazione parte sulla sinistra il sentiero che porta direttamente in cima. La croce si raggiunge in circa un'ora di salita.
Dalla cima del monte (1078 m) si gode una bella vista panoramica sui Piani Palentini. Si vede chiaramente il rettangolo boscoso circondato per tre quarti da campi coltivati e per un quarto dalla strada, dove spicca il bianco dei resti della chiesa di Santa Maria della Vittoria. Sono facilmente individuabili inoltre tutti i luoghi della battaglia: a nord-est l'abitato di Magliano de Marsi e a sud-est l'area di Alba Fucens e la strettoia di Antrosano, dove secondo alcuni storici si nascosero Alardo e Carlo d'Angiò per portare a termine lo stratagemma che valse loro la vittoria. A sud-ovest si allarga invece il territorio della Marsica, cinto dagli altri gruppi montuosi dei Carseolani.
Un'alternativa per godere del paesaggio e ammirare dall'alto i luoghi della battaglia, è quella di proseguire per la strada sterrata imboccata all'inizio dal castello, costeggiando il lato nord est della montagna e ammirando la vista dei piani. Dopo 25 minuti si svolta a un cancello sulla sinistra e, sempre seguendo un'ampia e comoda sterrata, si entra in una graziosa pineta che offre ombra e un di frescura nelle giornate più assolate.
Itinerario d'autore
La figura del sedicenne principe tedesco, d'animo nobile, fiero e intelligente, grande amante dell’Italia, ha commosso nei secoli scrittori e poeti. Fra i letterati e gli uomini di cultura che si lasciarono affascinare dalla storia del giovane principe svevo va annoverato Italo Alighiero Chiusano, germanista di fama internazionale, romanziere, poeta e saggista, che a lui dedicò nel 1990 un intero romanzo, intitolato Konradin.
Chiusano, figlio di un diplomatico piemontese, era nato nel 1926 a Breslavia, allora tedesca (oggi è la polacca Wroclaw). La sua nascita lontano dalla patria gli valse il doppio nome, Italo e Alighiero (l'Italia e Dante), e la conoscenza del tedesco, che lo fece diventare traduttore fra gli altri del premio Nobel per la letteratura Heinrich Böll. Figura di cattolico inquieto e tenace, scrisse sul viaggio e sull’animo del giovane principe pagine intense. Con queste parole Chiusano descrive l'itinerario del giovane Corradino per giungere ai Piani Palentini:
Ridiscesi alla strada meno caprina ed erta, dopo una lunga marcia uscimmo dal Patrimonium Petri ed entrammo nell'Abruzzo, ossia nel regno già di Federico, ora di Corradino ma usurpato dall'Angiò. Ad Arsoli cominciava il vero percorso montano, cioè quel giro impervio che doveva portarci alle terre della Capitanata e massime a Lucera, contrade tutte in fiamme per noi. […] Era palese che il nostro viaggio tendeva a quella pianura che si chiama Campi Palentini, credo in onore di San Valentino. Lì era bene, o aspettare il nemico, se a uno scontro decisivo si doveva venire; o far riposare l'esercito, se la prossima tappa doveva essere Sulmona (ormai caduta in mani ghibelline) e poi di là Lucera e la Puglia insorta. […]
Da Torano prendemmo giù per la valle del Fiumicello Salto, e mercoledì ventidue agosto arrivammo alla Piana di san Valentino, terra dei Marsi: un tavolato esteso che, dominato dai monti ma anche da verdi colline, si stende - oltre Avezzano - sino al lago Fùcino et ultra. Ma le nostre schiere non si spinsero così in là. Dopo tanto inerpicarci, ecco là ai nostri piedi una pianura ricca di orti e giardini, di campi ben coltivati, solcata da rivi di belle curve serpentine, tagliata da vie quasi diritte che portavano - per dir ciò che a noi più premeva - verso l'Aquila, tendendo a settentrione; o, mirando a oriente, verso Sulmona e le terre che ci stavano aspettando. Passammo da prima per il borgo di Tagliacozzo, ma si pensò di non fermarci. Infatti proseguimmo di alcune miglia fino a Scùrcola, dove finalmente ci si accampò presso un'antica magione romana detta Villa Pontium. Quando eravamo ancora in alto e la pianura si offriva tutta ai nostri sguardi, sentii Corrado d'Antiochia dire a Corradino, con un gesto ampio del braccio: «Questa, sire, è contea della Marsica, perciò terra mia, ché tale me la trasmise Federico mio padre, fedele vassallo di Federico avo vostro. Il paesino che ci sta di fronte, là dove i monti tornano a salire, si chiama Alba: sorge su un'antica cittaduzza romana, Alba Fucens, di gloriose memorie. Quella, di tale mio piccolo regno, può dirsi la capitale, e molto mi piacerebbe ospitarvi la maestà vostra».
Intanto, giunteci notizie fresche da due corrieri, provenienti l'uno da Antrosano, l'altro da Magliano, apprendemmo che Carlo, giunto lì già da parecchi giorni, aveva anche lui sguinzagliato corrieri per le montagne e, avutene notizie contrastanti, aveva stancato il suo esercito movendolo ora verso il lago, ora su fino all'Aquila, intento sempre a sbarrarci la via delle Puglie. Alla fine, appresa la vera direttrice della nostra marcia, aveva aizzato i suoi a un'ultima corsa. Superando il passo di Ovìndoli, era piombato sui Campi Palentini. Ci era giunto il giorno stesso che ci eravamo arrivati noi: noi accampandoci a occidente, lui di qualche miglio più a oriente e a settentrione, sotto l'altura di Alba.
(Italo Alighiero Chiusano, Konradin)
Fra gli altri, oltre i celebri versi di Dante Alighieri nella Divina Commedia, a lui dedicò uno struggente componimento il poeta dell’Ottocento Aleardo Aleardi. Così il giovane principe è raffigurato nei suoi versi:
Un giovinetto
pallido, e bello, con la chioma d’oro,
con la pupilla del color del mare,
con un viso gentil da sventurato,
toccò la sponda dopo il lungo e mesto
remigar de la fuga. Aveva la sveva
stella d’argento sul cimiero azzuro,
aveva l’aquila sveva in sul mantello;
e quantunque affidar non lo dovesse,
Corradino di Svevia era il suo nome.
Il passaggio più lirico del componimento si trova negli ultimi versi: si sfumano i contorni dell'immagine aulica del condottiero, e la tragica vicenda del giovane principe viene colta nell'intimità del dramma di una madre che attende notizie del figlio impegnato in una guerra lontana:
E gemendo l’avita aquila volse
per morire al natìo Reno le piume;
ma sul Reno era un castello,
e sul freddo verone era una madre,
che lagrimava nell’attesa amara:
"Nobile augello che volando vai,
se vieni da la dolce itala terra,
dimmi, ài veduto il figlio mio?"
"Lo vidi;
era biondo, era bianco, era beato,
sotto l’arco d’un tempio era sepolto."
(Aleardo Aleardi, Corradino di Svevia)
Per approfondire
Per approfondire la figura del giovane principe svevo si consiglia la lettura del libro poetico e immaginifico di Italo Alighiero Chiusano, Konradin (Mondadori, Milano, 1990; Buc – Biblioteca universale cristiana, 2012). Per una breve introduzione storica alla battaglia di Tagliacozzo si rimanda al contributo del prof. Angelo Melchiorre sul sito www.tagliacozzo.terremarsicane.it.
Sull'ambiente: C. Landi Vittorj, Appennino Centrale, Guida dei Monti d'Italia, Touring Club Italia e Club Alpino Italiano, Milano 1989, vol. I.
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Ad limina Petri
Passeggiate sull’antico confine tra Stato pontificio e Regno di Napoli