Tra i due regni
Un itinerario a due facce: la natura dell’orrido del Salinello e la storia di Civitella del Tronto. Il primo percorso si articola in due tappe e si snoda tra il monte Girella e il monte Foltrone, noti anche come Montagna dei Fiori e Montagna di Campli, speculari rilievi calcarei (da cui la definizione di Montagne Gemelle), erose e incise dal fiume Salinello che qui ha scavato una stretta forra, le Gole del Salinello. Il secondo percorso punta a quella che sembra una fortificazione naturale: lo sperone roccioso su cui si erge il centro storico di Civitella del Tronto, con la sua monumentale fortezza, estremo baluardo del regno borbonico. Questi due percorsi portano incisi i segni della presenza dell’uomo nel corso dei secoli. Castelli reali, fortezze di soldati, grotte e romitori di eremiti, costruzioni in pietra di pastori testimoniano lo stretto legame fra l’uomo e ambiente. L’area, all’interno dei confini del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, è stata oggetto negli ultimi anni di un profondo intervento di qualificazione e valorizzazione: qui è stato istituito il distretto del parco “Tra i due regni”, probabilmente la prima esperienza in Italia di sistematizzazione e promozione della ricchezza culturale e ambientale del territorio che divideva lo Stato della Chiesa dal Regno delle Due Sicilie. Il logo del distretto, composto dalle chiavi pontificie e dal giglio borbonico, ci guida dunque in questa visita nei luoghi dell’antico confine.
Il quadro ambientale
“Tra i due regni” costituisce in Italia, come già accennato, la prima esperienza sistematica di valorizzazione del territorio attraversato dall’antico confine tra il Patrimonium Petri e il regno dell’Italia meridionale. L’intuizione è del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti dei Laga, che nel 2002 ebbe l’idea di applicare il modello del distretto industriale, fiore all’occhiello e motore dell’economia italiana, alla gestione di un’area protetta. Il vasto territorio del Parco, con i suoi 150 mila ettari eterogenei per storia, caratteristiche ambientali e paesaggistiche, cultura ed economia, fu così idealmente suddiviso in 11 distretti ambientali-turistico-culturali. L’obiettivo era innescare processi di sviluppo sostenibile e di valorizzazione delle risorse ambientali e culturali presenti all’interno dei confini del Parco, in modo strettamente connesso alle specificità locali, ma all’interno di una visione organica e unitaria. Operare per distretti può favorire il diretto coinvolgimento delle amministrazioni locali, ai diversi livelli comunale, provinciale e regionale.
In sintesi il distretto si propone di articolare la complessità storica e territoriale del parco in comprensori diversificati fra loro, secondo l’idea della “specializzazione dei distretti industriali”, in cui lo sviluppo è legato alla valorizzazione delle risorse endogene, all’interno di una strategia unitaria e sistematica di coordinamento. Per questo la “distrettualizzazione” del Parco prevede interventi di recupero e valorizzazione, e la comunicazione delle principali emergenze storico culturali presenti sul territorio, con l’obiettivo di rivitalizzare le aree montane.
Il distretto “Tra i due regni”, posto nella parte nord-ovest del Parco, occupa un’area prevalentemente montuosa di circa 14.500 ettari, e coinvolge i quattro comuni di Campli, Civitella del Tronto, Torricella Sicura e Valle Castellana. Questa zona costituisce un eccellente caso di studio per verificare l’efficacia delle strategie di sviluppo sostenibile: posta in un territorio “periferico”, sconosciuto ai grandi flussi turistici, presenta anche le condizioni di marginalità tipiche della montagna appenninica, fra cui le più evidenti sono la senilizzazione e lo spopolamento. A fronte di tale marginalità (e in parte grazie ad essa, che ha salvato questi luoghi dalla cementificazione e da uno sfruttamento aggressivo delle risorse) questo territorio è caratterizzato da un ambiente e una natura in gran parte integri, da paesaggi di grande bellezza e da numerose e pregevoli testimonianze storiche e artistiche.
In quest’area il parco ha già portato a compimento la gran parte degli interventi previsti, come ad esempio l’allestimento delle aree attrezzate di sosta lungo la strada da Garrufo a Macchia da Sole, la costruzione della capanna preistorica nel centro visite di Ripe, la realizzazione nel centro di visita di Macchie da Sole dell’esposizione dei reperti archeologici provenienti dal sito di Castel Manfrino e l’opera di comunicazione e informazione su questo distretto.
Le gole del Salinello, dimora di re e di eremiti
Incastonato tra le montagne gemelle, alto sulle gole del Salinello a controllare il territorio fino al mare, si eleva Castel Manfrino, superbo esempio di architettura militare, fatto costruire secondo la leggenda dal sovrano svevo Manfredi nel XIII secolo. Dopo essere saliti con una breve e piacevole passeggiata al castello dall’abitato di Macchia da Sole, dove abbiamo sostato presso il centro visite del Parco, ci spostiamo all’estremità orientale delle gole. Dall’abitato di Ripe di Civitella (anche qui è stato realizzato un centro visite del Parco) si scende alle gole, visitando la suggestiva grotta di Sant’Angelo e la spettacolare cascata detta “Lu cacchema”.
Prima tappa: da Macchia da Sole a Castel Manfrino
Il modo più consigliabile per raggiungere Macchia da Sole, luogo di partenza dell’itinerario, è il percorso delle gole sulla panoramica strada asfaltata a mezza costa. Si lascia la strada statale n. 81 “Piceno-aprutina”, che collega Teramo e Ascoli Piceno, all’altezza del centro di Garrufo e s’imbocca la strada, ben segnalata, in direzione di Macchia da Sole. Lungo la salita s’incontrano sette aree di sosta, da “Fonte Mileto” a “Castrum Macclae”, realizzate dal Parco nell’ambito degli interventi per la creazione del distretto. Le aree sono allestite con moduli pic-nic, punti fuoco, capanni muniti di cannocchiali d’osservazione e pannelli esplicativi, che informano sulla natura, la fauna, la geomorfologia e la storia del territorio. La seconda area di sosta, “Costa dell’Elce”, è un bel terrazzo panoramico da cui si gode una vista a 180° sulle gole e sui dintorni: si ammira la fortezza di Civitella del Tronto, la grotta di Sant’Angelo, Monte Girella (o Monte dei Fiori) e Castel Manfrino. Più avanti, alla sesta area di sosta “Aquila Reale”, si trovano le capanne di osservazione del nobile animale e un bel fontanile. Poco prima, la valle si apre e sulla destra si possono ammirare le rovine di Castel Manfrino. Lasciato a sinistra il bivio per Macchia da Borea e passato il Salinello tra le montagne gemelle si arriva a Macchia da Sole (910 m; ampio parcheggio). Il Centro di visita del Parco offre informazioni sull’area e ospita un’esposizione di reperti archeologici provenienti dal sito del Castello. Seguendo i cartelli ci dirigiamo al Castello su una strada inizialmente asfaltata, che diventa rapidamente un assolato sentiero a mezza costa, da cui si apre un bel panorama sulla Montagna dei Fiori e Castel Manfrino. A un bivio del sentiero si tiene la sinistra e in circa 20 minuti si raggiunge la sella (940 m), snodo di sentieri, dove sono sistemati panche e sedili. Da qui in 5 minuti si raggiungono gli imponenti ruderi di Castel Manfrino (963 m), costruito in spettacolare posizione lungo una cresta a picco sulla valle, da cui si gode un magnifico panorama fino al mare. Il castello è oggi visitabile attraverso una nuova e comoda passerella di legno e metallo. Sono ancora in corso (2006) lavori di scavo, restauro e valorizzazione del sito. Il ritorno è per la stessa strada o, in alternativa, sul sentiero “basso” che permette di percorrere un anello e di ricongiungersi poco prima dell’abitato di Macchia al sentiero dell’andata.
L’itinerario richiede circa un’ora.
Re Manfredi: “biondo era e bello e di gentile aspetto”
Castel Manfrino deve il suo nome al sovrano svevo Manfredi. Secondo la leggenda il re lo volle costruire nello spettacolare scenario delle Montagne Gemelle per contrastare le incursioni degli Ascolani, fedeli al Pontefice, e soprattutto per difendere i territori del regno di Napoli dalla minaccia incombente e dalla volontà di dominio delle milizie di Carlo d’Angiò. Il castello costituiva, insieme a Civitella e agli altri forti della zona, una pedina strategica nello scacchiere difensivo al confine con lo Stato della Chiesa, ed era in posizione eccellente per il controllo delle Gole del Salinello, canale di comunicazione piuttosto agevole tra le colline medio-adriatiche e le montagne dell’interno. Quando la morte di Manfredi, e quella di Corradino due anni dopo, fecero definitivamente sfumare il sogno di un impero svevo comprendente il sud dell’Italia, anche Castel Manfrino, come tutti i possedimenti del regno di Napoli, passò agli angioini.
Passeggiando tra le vestigia dell’antico castello, per i suoi 120 m di lunghezza e 20 di larghezza, se ne può immaginare l’originaria struttura, ammirando le mura dell’antico recinto e le tre imponenti torri di avvistamento a base quadrata che ancora oggi resistono alle ingiurie del tempo. Ci si può divertire a leggere, attraverso le rovine, la destinazione dei diversi ambienti del forte, che ospitava gli alloggi del castellano e delle truppe, le stalle, la cisterna, e perfino una cappellina.
Ma la suggestione di Castel Manfrino non si esaurisce qui. La leggenda infatti vuole che la sorte del castello e quella del suo fondatore restino legate anche dopo la morte del re. Il testimone del destino ultraterreno di Manfredi è Dante, che incontra l’anima del sovrano durante il suo viaggio nell’aldilà. Nei celebri versi del terzo canto del Purgatorio, il giovane svevo, la cui nobiltà è rimasta intatta (“Biondo era e bello e di gentile aspetto”), racconta al poeta la sorte delle sue spoglie mortali dopo la battaglia di Benevento:
Se ’l pastor di Cosenza, che alla caccia
di me fu messo per Clemente, allora
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
dov’e’ le trasmutò a lume spento.
Dopo essere stato ucciso nella battaglia di Benevento del 1266, Manfredi fu sepolto vicino al luogo della battaglia, all’estremità del ponte sul Calore, insieme agli altri soldati caduti. Ma Papa Clemente ordinò che ne fossero riesumati i resti e che fossero dispersi al vento al di fuori dei confini pontifici. L’ordine fu eseguito: dopo essere state trasportate “a lumi spenti”, come si addiceva agli scomunicati, le ossa del sovrano svevo furono gettate oltre il Verde, esposte al vento e alla pioggia.
Un’ipotesi leggendaria, suffragata da qualche storico locale, identifica il Verde con un fiume abruzzese: in questa terra, dunque, riposerebbero le spoglie del nobile re.
Se Castel Manfrino, al pari di ogni castello che si rispetti, abbia il suo fantasma, e sia abitato dallo spirito di Manfredi, non ci è dato di sapere. Di sicuro però c’è il piacere di camminare in questo luogo di profonda bellezza, costruito da re tedeschi innamorati dell’Italia.
Seconda tappa: da Ripe di Civitella alla grotta Sant’Angelo
Tornati sulla statale 81 si prende il bivio con le indicazioni per Ripe di Civitella. Giunti in paese (627 m), si traversa la parte alta dell’abitato e si parcheggia nel piazzale davanti alla chiesa, attrezzato con pannelli informativi, cannocchiali e una fonte. Pochi metri più in basso, sulla sinistra, si trova il centro visite del Parco, ospitato nei locali della vecchia scuola. Qui sono disponibili materiali informativi e una bella ricostruzione a fini didattici di una capanna del neolitico, realizzata secondo le tecniche dell’epoca. Presso il centro è opportuno informarsi anche sulla possibilità di accesso in auto alle gole e sull’apertura della grotta. In macchina (se il divieto d’accesso è inoperante) o a piedi, si percorre la strada sterrata che dal piazzale della chiesa porta, dopo circa un chilometro, a un’ampia area attrezzata all’imbocco delle gole (parcheggio, area pic-nic, fontanella). Si segue ora in discesa la strada bianca che entra nella gola, diventa poco dopo sentiero, e permette di godere un bel panorama sulla valle scavata dal Salinello. La discesa termina sotto una ripida parete di roccia. In alto sulla destra della parete sono visibili le grotte. Un breve ma ripido percorso a scalini in salita porta direttamente all’ingresso della grotta Sant’Angelo, un’ampia cavità chiusa esternamente da un muraglione di blocchi di pietra. Attraverso una stretta porta si penetra in un primo ambiente che immette poi direttamente nell’ampia sala, illuminata da un oculo nella roccia. La grotta è stata frequentata fin dalla preistoria come luogo sacro per cerimonie rituali. In tempi più recenti è diventata spazio di romitaggio e preghiera per gli eremiti, che ne hanno fatto un luogo di culto dedicato a San Michele arcangelo, realizzando l’altare in pietra visibile ancora oggi. La visita, vigilata da custodi, è favorita da numerosi pannelli esplicativi.
Usciti dalla grotta e perlustrate le altre cavità vicine si scende la gradinata d’accesso fino al sentiero principale. Inoltrandosi per pochi metri lungo il percorso delle gole si raggiunge un piazzale recintato (il “belvedere”) che si affaccia panoramicamente sulle gole, offrendo una magnifica vista della cascata detta “Lu cacchema” (nome dialettale che richiama la forma della conca simile ad una pentola). La cascata si ammira al massimo della portata nei mesi invernali, mentre in estate è in secca.
L’itinerario richiede circa un’ora.
Le grotte degli angeli
Questo itinerario a piedi lungo l’antico confine non potrebbe avere guida migliore di San Michele arcangelo. L’angelo infatti per sua natura è il tramite tra due “regni”, come testimonia il nome stesso: dal greco anghelos, messaggero, che traduce l’ebraico mal’ak, messaggero di Dio. Giacobbe li vede in sogno: “Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (Gn 28, 12). Gli angeli dunque sono esseri intermedi tra l’uomo e Dio. Un ruolo centrale in questa geografia celeste di mediazione tra umano e divino spetta proprio a San Michele:
È a lui che la tradizione iconografica ha affidato il ruolo di arbitro nel terribile (e temibile) processo che si svolgerà alla fine dei tempi. In una scena in cui spesso il sublime si mescola al grottesco, il “tragico” al “comico”, in una sapiente alternanza di “alto” e “basso”, di cultura dotta e cultura popolare, Michele svolge il suo compito in maniera impassibile, sventando gli inganni del baro per eccellenza, il demonio, che con un uncino o un arpione cerca di far pendere la bilancia dalla sua parte […]. Capo delle milizie celesti, Michele (che in ebraico vuol dire “chi è come Dio”?) è l’angelo che più ha segnato la religiosità popolare, come provano i numerosissimi luoghi di culto a lui dedicati. Chiamato “psicopompo” e “psicagogo” cioè condottiero, traghettatore delle anime nell’aldilà, veniva invocato nei riti funerari del giudeo-cristianesimo: «O Signore Gesù Cristo, re della gloria, libera le anime di tutti i defunti dalle pene dell’inferno (sheol) e del lago profondo; lìberale dalla bocca del leone; non le assorba il Tartaro, né cadano nella regione oscura: ma il condottiero San Michele le presenti nella luce santa che una volta promettesti ad Abramo e alla sua posterità». […] Ma la caratteristica che più si è imposta nell’imagerie medievale è quella di “ponderator”, ponderatore: Michele, insomma, come “grande pesatore” (Piero Pisarra).
San Michele dunque nella duplice immagine di psicopompo, traghettatore di anime, e ponderator, arbitro armato di bilancia, imparziale nell’attribuire la salvezza del paradiso o la dannazione eterna. Tra i luoghi di culto a lui dedicati, su un’area vastissima che va dalle coste mediterranee all’Europa settentrionale, i santuari costruiti in grotta come quello di Sant’Angelo a Ripe sono diffusi soprattutto nell’Italia meridionale, in Basilicata, Calabria, Puglia e in Sardegna. Le grotte, considerate simbolo delle potenze ctonie e passaggio verso l’inferno, venivano così messe sotto la protezione di un potere celeste, a debellare le forze diaboliche che vi si manifestavano.
Oltre che passeggiata in un luogo di grande bellezza, la discesa nelle gole del Salinello può dunque divenire, calandosi nell’immaginario e nella religiosità degli uomini che qui hanno vissuto e pregato, un suggestivo itinerario dello spirito, al confine tra mondo umano e mondo divino, tra storia ed eternità.
Per approfondire
Il sito ufficiale
www.fortezzacivitella.it/ costituisce una buona introduzione informativa generale alla fortezza. Una guida completa per la visita viene fornita insieme al biglietto d’ingresso. La libreria della fortezza contiene un’ampia selezione di volumi e audiovisivi. Un’opera sintetica ed esaustiva sulla storia di Civitella del Tronto, da cui sono tratte anche le informazioni sul convento di Santa Maria dei Lumi, è l’agile testo di Carino Gambacorta, Compendio della storia di Civitella del Tronto, Edigrafital, Teramo, 2002.
Per approfondire
La breve e piacevole passeggiata permette di scoprire le bellezze paesaggistiche della valle del Tronto e di visitare la città di Civitella e la sua fortezza, alla ricerca di testimonianze del ruolo strategico di controllo sul confine tra territorio pontificio e regno dell’Italia meridionale. Partendo dal convento di Santa Maria dei Lumi, fuori dalle mura, si sale alla fortezza, autentica “città nella città”. Visitato il museo, la passeggiata si conclude con il giro delle mura dove si ammira dall’alto uno splendido panorama dalle montagne dell’entroterra fino al mare, abbracciando con lo sguardo il territorio di confine tra Abruzzo e Marche.
Alla scoperta di Civitella del Tronto e della sua fortezza
Il contesto storico
La storia di Civitella del Tronto, fortezza naturale costruita su uno stretto sperone roccioso di travertino, sembra indissolubilmente legata al suo ruolo di mirabile roccaforte del Regno dell’Italia meridionale al confine con lo Stato della Chiesa: castello probabilmente già con re Manfredi nel 1255, quando si trovava a resistere agli attacchi degli Ascolani, sottoposti all’autorità pontificia; alla fine dello stesso secolo rocca angioina, dopo che l’ipotesi di un dominio svevo sull’Italia meridionale era sfumata sotto i colpi di Carlo d’Angiò, appoggiato dal Papa; rafforzata durante il periodo aragonese, fu solida piazzaforte militare pronta a respingere gli attacchi delle truppe del Duca di Guisa nel 1557, nell’ambito delle quarantennali guerre tra Spagna e Francia, quest’ultima alleata del Pontefice; nel 1806, sotto i Borboni, luogo di eroica resistenza capeggiata dal generale Matteo Wade in difesa, per l’ennesima volta, da un attacco francese; e infine ultimo baluardo del Regno delle Due Sicilie a cadere sotto i colpi dei cannoni piemontesi. Civitella resistette all’attacco a oltranza, anche dopo aver appreso la notizia della capitolazione del forte di Gaeta avvenuta il 13 gennaio 1861. Asserragliati sulla rocca, gli ultimi soldati del regno borbonico si difesero ancora per due mesi, fino al 20 marzo 1861, quando, per volontà stessa degli assediati, fu proclamata la resa. Probabilmente per desiderio di rappresaglia contro la resistenza borbonica, il forte, già pesantemente cannoneggiato, fu smantellato e ridotto in macerie, rischiando di perdere un’opera di valore storico e militare ormai patrimonio dello Stato unitario italiano. Dopo l’unità d’Italia Civitella, trasformandosi da roccaforte militare ad anonimo paese dell’entroterra, ha conosciuto una lunga decadenza che ha pesato notevolmente sulla sua economia e sulla dinamica demografica. Oggi la sua rivitalizzazione si basa soprattutto sulla sua capacità di attrazione turistica.
L’itinerario
Civitella del Tronto (645 m) è facilmente raggiungibile da Teramo e da Ascoli, percorrendo la statale 81. Parcheggiata l’auto sotto la fortezza, raggiungiamo subito, al di là della rotonda stradale di accesso alla città, il convento e la chiesa di Santa Maria dei Lumi, molto amata dai Civitellesi, in bella posizione tra i cipressi. A sinistra della chiesa, vicino al posteggio degli autobus di linea, si trova il cippo confinario n. 617. Il convento fu teatro di un triste capitolo di storia del secondo conflitto mondiale: esso fu utilizzato dal 1940 al 1943 come campo di internamento per gli ebrei. Nonostante la benevolenza e la concreta solidarietà degli abitanti di Civitella nei confronti delle centinaia di uomini qui rinchiusi, la vicenda ebbe un tragico epilogo.
Visitata la chiesa, ci dirigiamo verso le mura della fortezza. Percorrendo la strada, nell’aiuola spartitraffico posta in corrispondenza della curva a gomito, troviamo il cippo di confine n. 616. Entrati in città da Porta Napoli, si traversa l’ampia piazza, dove è la parrocchiale di San Lorenzo. Da qui si segue il Corso Mazzini, fino ad arrivare, in Largo Pietro Rosati, al monumento a Matteo Wade, voluto da Francesco I nel 1829 per onorare la memoria del coraggioso difensore della fortezza. Il ritratto del generale nel medaglione è accompagnato ai lati dalle figure della “Fedeltà” e del “Dolore” e dallo stemma borbonico. La passeggiata prosegue per le pittoresche viuzze e le botteghe di Civitella. Tornati in piazza si può ora salire lungo Via Roma, fra antiche case, all’ingresso della Fortezza (in alternativa si possono utilizzare le scale mobili, fuori dalle mura, nei pressi di Porta Napoli). L’accesso è dal bastione di San Pietro, che insieme a quello di San Paolo costituivano il baluardo sul lato est delle mura. Si esplora la lunga struttura del forte, vero e proprio borgo fortificato con una superficie complessiva di circa 25000 mq. Il forte era dotato di tutto il necessario per essere il più possibile autosufficiente, dai forni per il pane alla chiesa, dalle cisterne per l’acqua agli alloggi per i soldati, dalle mense agli ossari. Lo si percorre longitudinalmente da est a ovest, passando per le tre piazze d’armi fino al museo, lungo i suoi 500 m di lunghezza. Nel museo è allestita una ricca esposizione di documenti, oggetti e immagini che raccontano la storia della fortezza. Nella terza sala è esposto il cippo di confine n. 609. Affacciandosi alla balconata nord la vista spazia dai Monti Gemelli fino al mare, con al centro le Marche e la città di Ascoli. Si ripercorre visivamente l’andamento dell’antico confine, che dal litorale seguiva il Tronto, scendeva a sud ad attraversare il Vibrata e risaliva alle spalle della collina Montesanto, di fronte alla fortezza, per poi procedere verso ovest in direzione delle montagne. Dal lato sud delle mura la vista spazia sulle forme dolcemente arrotondate delle colline nel teramano e offre un bello scorcio del convento di Santa Maria dei Lumi, circondato dai cipressi.
L’itinerario richiede circa un’ora, cui va aggiunto il tempo della visita.
Un’ampia presentazione del Parco è disponibile nel sito ufficiale www.gransassolagapark.it/. Per informazioni sul Parco è inoltre possibile contattare il numero verde 800-351078. Nei centri visita sono disponibili le pubblicazioni descrittive dei distretti turistico-ambientali; in particolare si segnala la brochure n. 2 “Distretto tra i due regni”.
Un testo utile per approfondire il tema degli eremi e delle costruzioni pastorali è la Piccola guida eremi e insediamenti agro-pastorali del Gran Sasso di Edoardo Micati, pubblicata nel 1995 dalla Regione Abruzzo, dal Corpo Forestale dello Stato e dall’Archeoclub di Pescara. Dello stesso autore è Gli eremi della montagna teramana (Arké, Teramo, 2002).
Per la cartografia si può utilizzare la carta turistico-escursionistica Monti della Laga del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a scala 1:50.000, Selca, 2004.
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Ad limina Petri
Passeggiate sull’antico confine tra Stato pontificio e Regno di Napoli