L’abitato rupestre di San Salvatore nella Macchia di Piantorena
L’abitato rupestre di San Salvatore nella Macchia di Piantorena
Piantorena è un borgo abbandonato della Tuscia rupestre, situato in un bel bosco di lecci nei dintorni di Grotte Santo Stefano. Chi lo visita resta colpito dalla sua capacità di sopravvivere al tempo. Una sorta di borgo dalle sette vite. Cominciarono gli Etruschi a sfruttare questo pianoro allungato, sollevato tra due fiumi: ne vediamo ancora le tombe in cui deposero i loro morti, scavate nelle pareti scoscese. Fu poi la volta dei Romani, provenienti da Ferentum, a frequentarne il plateau tufaceo e a lasciare le loro epigrafi sulle rocce e sui cippi. Nel Medioevo delle invasioni e delle scorrerie, divenne sede di un borgo che accoglieva famiglie in cerca di sicurezza: furono costruite torri di avvistamento e strutture di difesa; si ampliarono le cavità etrusche e romane per ricavarne abitazioni, certamente spartane, ma almeno occultate agli sguardi rapaci dei molti nemici. In età moderna e in epoca post-unitaria i dirupi di Piantorena divennero il sicuro rifugio di una banda di briganti capeggiata da un certo Luigi Rufoloni: i fitti boschi erano la base di partenza per le loro imprese spesso commendevoli. Oggi è rinato come parco attrezzato per feste popolari, messo in sicurezza per visite e picnic. Le vie cave e le tagliate etrusche sono state segnate e sono diventate sentieri-natura. E dunque, lunga vita a Piantorena!
L’itinerario
Da Grotte Santo Stefano e Magugnano, s’imbocca la strada per Roccalvecce e la si lascia dopo qualche centinaio di metri per una strada sterrata sulla destra. Su fondo buono e a saliscendi si percorrono in auto i 4,5 km che conducono al cancello d’ingresso del Parco del Salvatore. In alternativa si può iniziare a piedi direttamente dal paese oppure parcheggiare sulla sterrata all’altezza di una cava, dove parte a sinistra un sentiero segnato per la torre di Piantorena (che, in combinazione con la strada sterrata consente di percorrere un bell’anello escursionistico). All’ingresso del Parco alcuni pannelli informativi forniscono i dati essenziali per la visita. Si comincia dalla semplice chiesetta del Santissimo Salvatore che ha due porte, un’abside e custodisce alcuni affreschi devozionali di santi popolari. A fianco della chiesa sono i ruderi interrati di un antico convento di frati. Tra le pareti in rovina si conservano due begli archi. Due percorsi protetti da reti conducono alle grotte scavate sui due versanti a strapiombo sui fossi. Tra le 37 grotte censite si possono osservare alcune cavità interessanti per la loro destinazione d’uso. Vi sono abitazioni ipogee a due vani, accuratamente squadrate e rifinite, con un muro divisorio tra il vano-notte e il vano-giorno, che mostrano ancora la pavimentazione a piastrelle, le nicchie per deporvi gli oggetti casalinghi, l’alcova, le cisterne per l’acqua, il foro sul soffitto per la dispersione dei fumi del focolare, i fori per gli stipiti della porta. Altre grotte sono state invece utilizzate come stalle per gli animali. Si riconoscono facilmente per la presenza di mangiatoie e di vasche per l’abbeverata. È anche ipotizzabile l’uso di alcune cavità per lo stoccaggio degli attrezzi di lavoro e il deposito di prodotti: lo si intuisce dall’abbondanza di fori sulle pareti interne, atti ad accogliere assi e travi orizzontali di sostegno. Particolarmente suggestivo è il bilocale a nicchiette che ospitava un consistente allevamento di piccioni. La colombaia è sistemata in una zona impervia che rendeva difficoltoso l’accesso agli spazi interni e la difendeva dalla possibile intrusione di predatori. Dopo aver percorso un sinuoso sentiero nel bosco si giunge infine alla Torre di avvistamento, costruita sull’estremo sperone del banco di tufo. Ci si può affacciare con precauzione sulla spettacolare parete di calanchi argillosi. Bel panorama sulla valle del Tevere e sul Castello di Montecalvello. A fianco della torre, una scalinata rupestre, una tagliata e una via cava scendono sul fondo del fosso: si tratta di un’antichissima strada di collegamento tra la valle del Tevere e le località della Tuscia interna. Per il ritorno - se si è lasciata l’auto alla cava o in paese - si può seguire il sentiero segnato diretto verso il fosso che percorre la base della rupe e la risale con una nuova tagliata.
Per approfondire
Chi è interessato allo studio e all’archeologia della zona può leggere il capitolo su Piantorena del volume curato da Elisabetta De Minicis, Insediamenti rupestri medievali nella Tuscia. Sempre a Piantorena è dedicato uno studio di Rifeo Santoni, pubblicato nel 1988. Un itinerario escursionistico a Piantorena è descritto nella guida Tuscia nascosta, pubblicata nel 2006 dalla Società archeologica viterbese “Pro Ferento”.
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Civiltà rupestre
Passeggiate trogloditiche
La ricognizione del percorso è stata effettuata il 14 novembre 2015