Per approfondire

Il sito istituzionale del Comune di Soriano nel Cimino dedica un ampio spazio al monumento naturale di Corviano, completo di galleria fotografica e brochure (www.comune.sorianonelcimino.vt.it/corviano). Una descrizione di Corviano con metodologia scientifica è dovuta a Simona di Calisto ed è pubblicata nel volume di Elisabetta De Minicis, Insediamenti rupestri medievali nella Tuscia. Escursioni a Corviano, corredate da mappe e foto, sono pubblicate nelle guide scritte da Giovanni Menichino (Escursionismo d’autore nella Terra degli Etruschi – Viaggio nella Tuscia – I monti Cimini e le valli delle antiche civiltà rupestri, Laurum, Pitigliano, 2008) e dai soci della Società archeologica viterbese “Pro Ferento” (Tuscia nascosta – Guida ai luoghi antichi nella campagna viterbese, Viterbo, 2006).

Itinerari

Il borgo rupestre di Corviano

La fascia dei boschi che scende dai monti Cimini alla valle del Tevere nasconde tra le sue pieghe un gran numero di tesori archeologici. Nascosti nei fossi, incartati nella fittissima macchia, sigillati dall’interramento, dimenticati negli archivi, ignoti ai più, questi tesori hanno riposato per secoli nel loro sheol sotterraneo. Fino al giorno del risveglio e della loro risurrezione. Di questa riscoperta sono stati protagonisti in molti: gli archeologi delle sovrintendenze, le missioni archeologiche straniere, i sindaci e gli assessori, i parroci, gli studenti universitari di beni culturali, i gruppi di studiosi locali, i cercatori individuali, i tombaroli pentiti, gli speleologi, le associazioni escursionistiche. Le scoperte sono state divulgate nei convegni, sono state pubblicate dall’editoria specializzata e, soprattutto, grazie alla fulminea velocità del web, delle immagini di google, di facebook e di youtube, sono diventate di pubblico dominio e immediatamente accessibili a tutti gli appassionati. L’abitato medievale di Corviano è uno di questi tesori, tra i più cospicui. Come tutti i villaggi importanti era dotato di un castello e di una chiesa. Ma le sue abitazioni erano invisibili, nascoste agli occhi ostili, scavate sottoterra, attrezzate nelle grotte, accessibili in gran parte soltanto dalle pareti rocciose grazie a pianerottoli e scale mobili. Tanto che nelle pergamene medievali i beni appartenenti al castrum di Corviano erano definiti semplicemente come “domos, criptas, casalina, canapinas, molendina”. Se oggi possiamo visitare Corviano e restarne attoniti è perché nell’ultimo quarto del secolo scorso è stato oggetto di scavi, rilievi, opere di messa in sicurezza. E poi è stato studiato dai docenti dell’università della Tuscia ed è diventato argomento di tesi di laurea e dottorato per studenti appassionati della propria terra e delle proprie radici.

L’itinerario


Corviano occupa il piano sommitale di una rupe che si solleva sui boschi che separano Bomarzo da Vitorchiano e che s’incunea tra le valli del fiume Vezza e del torrente Martelluzzo. L’indicazione turistica per Corviano si trova al km 12,800 della strada Ortana, facilmente accessibile dalla supertrada che collega Viterbo al casello di Orte dell’Autostrada del Sole. Tra i bivi di Bomarzo e Vitorchiano, in località Santarello, una strada sterrata lascia l’Ortana e si dirige verso nord fino a raggiungere in meno di 2 km un edificio rurale a un bivio. Qui si parcheggia. A destra è la strada della Poggiarella. Si scende invece sulla strada di sinistra fino al divertente e agevole guado del torrente Martelluzzo. Seguendo le indicazioni si percorre lungamente la sterrata fino a raggiungere un bivio: la strada principale inizia la discesa dal colle verso la Vezza; si va invece sulla strada di destra chiusa da una sbarra. Il primo monumento che incontriamo e che fa memoria dell’antico borgo medievale è il Castello, un palazzo fortificato costruito sul bordo della rupe e preceduto da un fossato difensivo. Le mura settentrionali sono svanite in seguito ai crolli, ma la superstite cerchia muraria è ancora ben riconoscibile. L’angolo sud-orientale del castello conserva molto bene la struttura muraria edificata sulle basi di enormi blocchi di roccia preesistente. Anche il portale d’ingresso, sul versante meridionale, verso il pianoro, conserva qualche ricordo dei congegni di chiusura del portone e una bella feritoia obliqua per la difesa dell’area d’accesso dagli aggressori. Nelle mura si conservano altre finestre a sesto acuto e feritoie di bell’aspetto e in buono stato di conservazione.

Dopo il Castello si segue ancora il sentiero che costeggia il versante settentrionale della rupe. Avvicinandosi al bordo con un po’ d’attenzione si svelano i gradini d’accesso alle grotte sotterranee. Le prime due grotte hanno il soffitto crollato, ma la terza è un appartamento bi-vano di grande interesse e ancora in buono stato. Sei gradini scendono all’ingresso dell’abitazione, intagliato nella roccia in forma regolare, con i fori negli stipiti che reggevano le strutture della porta. Il primo ambiente ha una forma arrotondata. Una grande apertura s’affaccia direttamente sul burrone. Si riconosce il focolare in corrispondenza di un buco nel soffitto che fungeva da canna fumaria. La parete interna ospita una profonda nicchia con una piccola vasca sopra una rientranza sottostante. A fianco si osservi un’attaccaglia, una sorta di maniglia ottenuta forando la roccia, alla quale venivano solitamente legati gli animali da soma o appesi dei contenitori. Attraverso tre gradini e un’angusta porticina ci si trasferisce nel vano a fianco. Anche qui si trova una grande finestra aperta sul baratro sottostante con i consueti fori nella roccia che ospitavano i perni del portale. Ma l’attrazione ambientale è costituita dal pavimento, dove sono scavati pozzetti, fori, depressioni e canaline di scolo. Si può ipotizzare per quest’ambiente un utilizzo come laboratorio o bottega artigiana affiancata all’abitazione principale.

Usciti dalle grotte si raggiunge ora la punta del pianoro, la prua del piano rupestre puntata verso il mare di boschi sottostante, il belvedere orientato verso la Selva di Malano punteggiata di voluminosi massi erratici esplosi dai vulcani presenti nell’area.

Inizia ora l’esplorazione dell’altro versante, quello orientale, sovrastante il torrente Martelluzzo. Anche qui la rupe è apparentemente deserta. Basta però affacciarsi sul vuoto della parete per scoprire grandi buchi, rocce cariate, aeree finestre, indizi di segrete cavità. E allora perlustrando attentamente gli anfratti del ciglione della rupe, si palesano brevi rampe di scale occultate nel verde. Su questi gradini si discende in antri nascosti, che rivelano numerose tracce di una civiltà sepolta. Nove sono i gradini che conducono a una bella porta scolpita nella roccia con l’architrave spezzato dalle radici di un albero intraprendente. Varcata la porta si svelano due stanze separate da una paretina di roccia parzialmente crollata. Le aperture sul dirupo sono numerose, frutto di scavi finalizzati ma anche di fratture e assestamenti delle rocce a seguito di remoti terremoti. Sul fronte interno sono evidenti tre arcosoli, con letti di roccia a baldacchino, le alcove dei nostri antenati. Sorprendente è l’avvallamento centrale a forma di teschio, ben visibile sul pavimento, con tre fori disposti a triangolo e un quarto foro laterale. Potrebbe trattarsi del focolare con le basi del treppiede che sosteneva la caldaia per la cottura dei cibi. Sulla parete è inciso un calvario devozionale, una croce piantata sul monte Golgota.

Più avanti è un’altra abitazione rupestre, un trilocale cui si accede con una scala di sei gradini. L’interesse è dato qui dalla ristrutturazione operata in epoca moderna. La porta, le finestre e le stanze sono tamponate con mattoni e blocchetti di tufo. L’apertura sul dirupo è stata ristretta e conserva ancora sullo stipite un gancio di metallo per la porta. Si riconosce facilmente il camino: il focolare e le pareti sono realizzati con blocchetti di tufo mentre il tiraggio sfrutta una fessura del soffitto. Il locale di fondo (una stalla o una toilette rupestre) ha un piano di calpestio roccioso con fosse e canaline di spurgo convergenti verso un foro nella base della parete esterna.

La visita del villaggio medievale può concludersi presso i ruderi della chiesa, situata più avanti, sempre sul bordo della rupe. Si tratta in realtà quasi di una cappella, a una sola navata, lunga 10 metri e larga cinque. Gli scavi hanno rivelato il perimetro esterno, l’abside semicircolare e l’altare abbattuto. Alle spalle della chiesetta si trova la necropoli che conta una trentina di tombe a fossa scavate nel tufo, spesso di tipo antropomorfo e alcuni sarcofaghi rocciosi. Il luogo, una radura nel bosco dove affiorano i resti archeologici, ha una sua indubbia suggestione. Del resto tutto il pianoro di Corviano si presenta all’escursionista con un’alternanza di ambienti naturali assai diversi: grandi prati fioriti, boschetti di roverelle, lastroni di tufo e rocce levigate ammantate di muschio, radure di macchia mediterranea, assolate pareti verticali di roccia dominanti sulla rigogliosa e talvolta impenetrabile giungla riparia.

Il ritorno può compiersi sul percorso dell’andata, oppure completando l’anello del bordo orientale. In questo caso si percorre una strada scavata nella roccia, scivolosa in alcuni tratti, che riporta al guado del torrente Martelluzzo. Nell’ultimo tratto è possibile esplorare gli affioramenti rocciosi sulla destra per scoprire alcune vasche scavate in successione nella roccia, utilizzate forse come pestarole per la spremitura dell’uva e la raccolta del mosto, oppure come canapine, e cioè vasche per la macerazione e la lavorazione della canapa.

Civiltà rupestre

Passeggiate trogloditiche