Lombardia

Da Civate alla Città santa sul monte

Un itinerario che è quasi un salmo. Si vivono le stesse emozioni dei pellegrini che salivano a Gerusalemme, la città santa.  Siamo in realtà in Brianza, nei dintorni di Lecco. Da Civate una mulattiera medievale risale la Valle dell’Oro e conduce al complesso romanico di San Pietro al Monte. La visita degli ambienti e la lettura degli affreschi aiutano a decifrare i significati spirituali e apocalittici della Gerusalemme celeste, la città santa sul monte.

Per l’anonimo autore dello scritto A Diogneto, piccolo testo della letteratura cristiana dei primissimi secoli, i cristiani vivono nelle città della terra senza distinguersi dagli altri abitanti, ma in realtà come forestieri che cercano la città santa. E allora per un giorno via da Milano, via dall’aria corrotta e dalla guerriglia del traffico, via dalla folla solitaria e dall’angoscia del tempo. Si va alla ricerca di un’altra città, di un mondo nuovo, della Gerusalemme celeste. A piedi, però. Sì, a piedi. Non c’è strada asfaltata. Da Civate il percorso segnalato si lascia alle spalle il laghetto di Annone, segue un’antica mulattiera selciata immersa in un fitto castagneto, costeggia il torrente e risale la Valle dell’Oro, in direzione del Monte Cornizzolo. La pendenza non è eccessiva. All’inizio il tracciato è quasi in piano; dopo la Cascina dell'Oro la mulattiera sale più sensibilmente, in qualche tratto scivolosa, ma sempre ben curata, proprio per agevolare il passo agli escursionisti più inesperti.

L’arrivo all’abbazia benedettina è emozionante. Appare subito l’oratorio di San Benedetto, dalla semplice pianta a croce e con tre absidi. Di fronte una scalinata sale all’aula basilicale di San Pietro preceduta da un pronao semicircolare con deliziose bifore. Siamo di fronte a un capolavoro dell’architettura romanica lombarda. Come non ricordare la visione del profeta Daniele (40,2): «La mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là. In visione divina mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città».

L’attenta esplorazione delle antiche pietre alimenta anche la ricerca dei simboli e dei significati. Uno dei più suggestivi è quello della montagna sacra. Questo luogo ne è un esempio, perché qui la montagna si manifesta come luogo di congiunzione tra terra e cielo e il tempio diventa l’anello della congiunzione, a un tempo incarnazione del cielo e riproduzione architettonico-simbolica del monte.

La nostra passeggiata addensa sorprendentemente intorno a una modesta fatica una serie di inattesi motivi utopici. Quelli contenuti nella profezia di Michea (4,1-2): «Avverrà alla fine degli anni: il monte della casa di Jahvè sarà fondato sulla cima dei monti e si eleverà sopra i colli. A lui affluiranno i popoli, verranno genti numerose e diranno: Orsù saliamo al monte di Jahvé e alla casa del Dio di Giacobbe. Egli ci insegnerà le sue vie e noi camminiamo per i suoi sentieri».

Un altro simbolo che questo luogo incarna, ancora più ricco di significati dei precedenti, è quello del Paradiso. Per intenderlo appieno dobbiamo però entrare nell’abbazia e seguire il filo degli affreschi che essa contiene (un ciclo pittorico tra i più importanti del secolo undicesimo). Quattro sono le immagini che ci attirano. La prima è quella del seno di Abramo che compare sulla lunetta interna sopra la porta principale. Il Paradiso è rappresentato come un giardino nel quale siedono i tre patriarchi dell’antico testamento: Abramo, Isacco e Giacobbe. Essi portano in grembo le anime dei giusti, tra i lembi del mantello sollevati con le mani. Una rappresentazione semplificata di questo Paradiso è il solo seno di Abramo. L’immagine descrive teneramente l’amore paterno: è la scena del padre che solleva i figli piccoli e se li mette sulle ginocchia per coccolarli e giocare con loro. La scena rende bene il senso teologico del paradiso come premio e ricompensa del Dio-Padre per i suoi figli e come aspirazione dei giusti a trovare rifugio, protezione, sicurezza e gioia tra le braccia del padre-madre. La parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone ricorda che, quando il povero morì, «fu portato dagli angeli nel seno di Abramo».

La seconda immagine, nella volta dell’ingresso, è l’apocalittica Gerusalemme celeste. È una città di forma quadrangolare, circondata da mura fortificate con diciotto torrette. Ai quattro angoli della città sono scritti i nomi delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. In ogni lato della cinta si aprono tre porte ad arco e nel vano di ogni porta si affaccia un angelo. Al centro della città, tra i due alberi della vita, è raffigurato Cristo Pantocratore che troneggia sul globo del mondo. Nella mano sinistra ha un libro aperto sul quale si legge Si quis sitis, veniat (se qualcuno ha sete, venga a me). Con la mano destra regge la canna per misurare la città.

La terza immagine occupa le vele della volta. Quattro omini in ginocchio versano acqua da altrettanti otri. Le scritte dicono: Tigris, Eufrates, Geon, Fison. Gli omini con l’otre sono dunque simbolo dei quattro fiumi che nascono dall’unica sorgente divina, secondo il racconto biblico della Genesi (2,10): «Un fiume che usciva dall’Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e veniva a formare quattro bracci».

La quarta immagine del Cielo è all’interno della cupola del ciborio: attorno all’Agnello fanno corona diciotto figure che indossano una tunica o una toga. Sono le vittime della «grande tribolazione» (Ap 7,14-17), i martiri perseguitati e uccisi a causa della loro fede: «Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».

Queste immagini ci raccontano l’evoluzione dell’idea di Paradiso e la sua progressiva urbanizzazione. Il Paradiso è dapprima pensato come un Eden arboreo e floreale, un grande parco dalla lussureggiante natura. Evolve poi verso l’idea del giardino cinto da mura, del parco urbano protetto, del chiostro, dove è privilegiata la verticalità del rapporto terra-cielo rispetto all’orizzontalità spaziale. E infine approda all’idea della città santa, della «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3).

Questo luogo della montagna lombarda, queste architetture romaniche, questi antichissimi affreschi sono dunque un luogo meta-storico, utopico, un luogo dove finito e infinito s’intrecciano. E la nostra piccola «ascensione» acquista un grande significato spirituale come nella visione di Giovanni: «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio» (Ap 21,10).

Lungo la rapida discesa dal monte abbiamo anche il tempo di ricapitolare le riflessioni nate dal testo A Diogneto e di chiuderle con un’epigrafe paolina di conferma: «Noi non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Ancora qualche passo ed eccoci di nuovo tra le strade e le case di Civate. Sarà a causa delle immagini trasfigurate che portiamo nel cuore, ma questo paese ci evoca ancora un’immagine di Zaccaria: «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno col bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze» (Zc 8,4-5).

Itinerario

Note tecniche

In giro per il web

L’itnerario parte dai 290 m di Civate per salire ai 630 m di San Pietro. Il dislivello è di circa 340 metri e richiede due ore di cammino tra andata e ritorno, cui va aggiunto il tempo dedicato alla visita del complesso di San Pietro al Monte. Cartografia: carta dei sentieri Multigraphic Brianza, Triangolo Lariano - 1:25.000 - foglio 201/202

(www.edizionimultigraphic.it).

Per le informazioni sugli orari di apertura di San Pietro e per organizzare una visita guidata è consigliabile contattare a Civate l’Associazione Amici di San Pietro (www.amicidisanpietro.it). Il Museo Virtuale del Comune di Civate (www.comune.civate.lc.it), repertorio fotografico e documentale delle risorse storiche, artistiche e ambientali del territorio, propone un viaggio virtuale nel complesso romanico di San Pietro. La Regione Lombardia (www.cultura.regione.lombardia.it) ha individuato una serie di «percorsi della spiritualità» nel quadro degli itinerari lombardi di turismo culturale.

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