Itinerario nella provincia di Savona

Albenga. La geografia dell’aldilà nella chiesa di San Bernardino

Le tappe dell’itinerario

Siamo ad Albenga. Dalla centrale Piazza del Popolo si supera il ponte in ferro sul fiume Centa e si segue il vecchio tracciato urbano della Via Aurelia. Pochi passi sulla via Piave e una deviazione a destra sulla via Raffaello e poi su via Donatello conducono alla piazza di San Bernardino. La chiesa, dedicata al popolare santo senese, è officiata e visitabile, mentre il vicino convento, già carcere, è stato riutilizzato per ospitarvi i servizi comunali. Entrati nella navata della chiesa ci fermiamo davanti al dipinto sulla parete destra che precede il presbiterio. Il grande affresco rompe con la tradizionale composizione del Giudizio universale o piuttosto la ridimensiona nettamente e propone invece un’ampia geografia dei luoghi dell’aldilà (la città celeste murata e turrita, la vasca fiammeggiante del purgatorio, la prigione in caverna del limbo dei pargoli, i magazzini sotterranei dell’inferno compartimentato, le strade percorse dalle carovane dei viziosi). Ne sono autori i fratelli Tommaso e Matteo Biazaci di Busca, che lo realizzarono nel decennio compreso tra il 1474 e il 1483, alternandosi con il santuario di Montegrazie, dove dipinsero un soggetto del tutto analogo e quasi sovrapponibile. La composizione si articola in quattro fasce orizzontali sovrapposte. Il registro superiore è dedicato alle scene del Giudizio e alle immagini del Paradiso, del Purgatorio e del Limbo. La seconda fascia è dedicata all’Inferno ed è suddivisa in sette riquadri. La terza fascia rappresenta la cavalcata dei vizi capitali e il gruppo delle virtù. L’ultima fascia, in basso, è di difficile lettura a causa della quasi totale scomparsa delle immagini.


In alto il Cristo parusiaco appare nei cieli all’interno della tradizionale ‘mandorla’, sostenuta da sei cherubini e serafini. Regalmente abbigliato e col nimbo crociato sul capo, siede a braccia levate sull’arcobaleno della nuova alleanza tra il cielo e la terra, simboleggiata dalla sfera sottostante. Gli fanno corona sei angeli in piedi che suonano un concerto celestiale con gli strumenti musicali del tempo (il flauto, la viola, l’arpa). Presenziano al giudizio gli intercessori: Maria, la madre di Gesù e Giovanni Battista, in ginocchio, impetrano a mani giunte la misericordia divina. Tra i due intercessori appare un folto gruppo di bambini, raffigurati nudi o ancora in fasce e a mani giunte: sono i Santi Innocenti, i bimbi fatti uccidere da Erode nel tentativo di eliminare il neonato Gesù e che ora chiedono giustizia per il sangue versato.


Il giudizio individuale delle anime è affidato all’arcangelo Michele. La scena, piuttosto gustosa, è descritta sulla sinistra. L’arcangelo è rivestito integralmente dalla corazza  e sfodera una lunga spada con la quale tiene a distanza i demoni. Con la mano sinistra regge una bilancia a due piatti dove sono pesate rispettivamente le opere buone (simboleggiate dalla lettera b, “bene”) e le malvage (lettera m, “male”). Tutt’intorno all’arcangelo si anima il trambusto del giudizio: gli angeli e i diavoli squadernano i libri del bene e del male; un giudicato viene sottoposto alla pesatura individuale; l’esito negativo è accolto dal pianto dell’angelo custode e dalla soddisfazione del diavolo che afferra per i capelli il neo-dannato; le anime dei “sommersi” sono caricate su una carriola e un diavolo si preoccupa di andarle a scaricare nella buca d’accesso all’inferno; le anime dei “salvati” sono invece accompagnate dagli angeli verso la città celeste.


Il Limbo dei pargoli è raffigurato nell’angolo superiore a sinistra. Un’ampia cavità accoglie le anime dei bambini morti senza aver ricevuto il battesimo. La cavità è chiusa da una grande grata di ferro, vigilata da un diavolo armato di bastone e separata da un cippo confinario dal mondo infernale. Questi bimbi non possono accedere al paradiso perché ancora macchiati dal peccato originale, ma non meritano l’inferno perché liberi da qualsiasi colpa personale.


Il Purgatorio è descritto nel registro più alto a destra. In un lago rosseggiante di fiamme le anime peccatrici annaspano, sommerse a profondità diverse: di alcune di esse vediamo solo i capelli o la testa; di altre osserviamo anche il collo e le braccia; altre liberano anche con il tronco; la progressiva emersione dal fuoco purgatorio è correlata alla durata più o meno lunga dell’espiazione della pena. La permanenza in Purgatorio può essere però ridotta, anche fortemente, dalle preghiere intercessorie dei vivi superstiti. Sul fuoco volteggiano infatti angeli misericordiosi che portano alle anime sofferenti il sollievo di una brocca d’acqua refrigerante, il vaso di un unguento che cura le ustioni, un calice colmo di particole delle Messe offerte in suffragio, una veste candida simbolo di salvezza.


Le anime dei giusti che hanno superato l’esame dell’arcangelo Michele e le anime che gli angeli hanno liberato dal Purgatorio si avviano verso il Paradiso, risalendone la scalinata d’accesso. Ad accoglierle trovano San Pietro che apre loro la porta del regno dei cieli con le chiavi avute da Gesù e le introduce tra i beati. Il paradiso ha l’aspetto della città celeste descritta dall’Apocalisse, una città circondata da alte mura merlate, intervallate a torri. Lo spazio urbano è affollato di santi oranti, ordinatamente disposti su tre file rivolte verso il Cristo trionfante. Spicca la presenza della famiglia religiosa francescana e dei frati Minori Osservanti con Bernardino da Siena al centro. L’osservazione paziente degli abiti, dei copricapi, degli attributi e degli oggetti che li contraddistinguono, consente anche l’identificazione di numerosi altri beati: il bastone da pellegrino dell’apostolo Giacomo, il piatto con gli occhi della martire siracusana Lucia, la tenaglia dei denti della martire egiziana Apollonia, il calice dell’apostolo Giovanni, il coltello del martirio di Bartolomeo, l’ascia della decapitazione di Giuda Taddeo, il bastone da gualcheraio di Giacomo e via continuando. Tra i beati sono rappresentati gli apostoli, i re cristiani, i santi guerrieri, i diaconi, i papi, i cardinali, i vescovi, i religiosi e le religiose, le vergini, i christifideles laici.


Al piano inferiore troviamo l’Inferno, il regno dell’aldilà descritto con la maggiore dovizia di particolari. I dannati vi precipitano attraverso la buca nel terreno soprastante e vi sono distribuiti ciascuno in un sepulcrum, sulla base del vizio capitale che li ha caratterizzati in vita. Il sepulcrum trasmette l’idea della tomba, di una sepoltura sotterranea dove viene scontata una pena definitiva ed eterna. I “sepolcri” si succedono tra loro, affiancati e separati da muri divisori, vigilati ciascuno da un diavolo capitanius con la sua insegna infernale. Ciascun sepolcro è destinato a punire un macro-vizio. Al suo interno sono applicate pene diverse anche ai sotto-vizi. Iniziando dall’ingresso dell’Inferno, il primo sepulcrum è dedicato al primo dei peccati capitali, la superbia. Gli orgogliosi sono ammucchiati in una vasca quadrata: si riconoscono un vescovo, un cardinale, un frate e un guerriero col cimiero. Gli eretici finiscono in un pentolone infuocato, rimestati dalla spatola di un demonio. La caduta dell’intonaco rende appena visibili i resti di Lucifero, reso di fronte, con grandi corna arcuate da stambecco. In basso si intuisce la presenza dei rappresentanti di fazioni contrapposte che si scontrano tra di loro. Il secondo sepulcrum dovrebbe essere destinato alla punizione dell’avarizia, ma la caduta dell’intonaco lascia leggibili solo un brandello del vessillo e la pena di due dannati arrostiti sullo spiedo. Il terzo sepulcrum punisce la lussuria. Qui si riconosce il diavolo con l’insegna di capitanius che la scritta sullo scranno identifica come Asmodeo. S’intravvedono due diavoli torturatori e due dannati feriti e sanguinanti, grigliati sul fuoco della loro smodata passione. Il quarto sepulcrum, più leggibile, è dedicato all’invidia. I dannati (si notano un religioso e il membro di una confraternita) sono infilzati alle punte di una ruota dentata che gira vorticosamente, azionata da un diavolo, e che in alternanza solleva e immerge i puniti tra le fiamme. Gli altri diavoli feriscono i dannati con le picche e li lavorano sull’incudine, facendo loro pagare le ‘ferite’ che con la loro invidia e con la maldicenza hanno arrecato al prossimo. Il quinto sepulcrum, probabilmente dedicato al vizio della gola, è completamente perduto. Il sepolcro successivo, il sesto, punisce il vizio dell’ira nelle sue diverse declinazioni. I dannati sono infilzati ai rami appuntiti di un arbor mali. Il peccato punito va interpretato analizzando la parte del corpo colpita: avremo così la punizione della disperazione del cuore, dell’autolesionismo, della violenza sessuale, della collera, della trasgressione del quarto e del quinto comandamento, della bestemmia. L’ultimo sepolcro è dedicato al peccato capitale dell’accidia. La lentezza nell’operare il bene, la pigrizia nell’attendere ai doveri familiari, la trascuratezza dei religiosi nell’attendere al servizio divino sono punite con il contrappasso dell’ipo-mobilità. Gli accidiosi cuociono a fuoco lento in un calderone scaldato da un fuoco alimentato da altri dannati utilizzati come legna da ardere. I pigri e gli oziosi sono costretti all’immobilità, bloccati nel gelo di un lago ghiacciato; neanche le solenni bastonate dei diavoli riescono a svegliare il torpore delle loro membra intorpidite dal freddo.


Il terzo registro mostra quel che resta della rappresentazione della cavalcata dei vizi. I rappresentanti dei sette peccati capitali, che cavalcano animali simbolici dello stesso vizio, sono prigionieri di una lunga catena che li trascina nella gola del drago infernale. Le uniche figure dignitosamente riconoscibili sono quelle della superbia (un re a cavallo di un leone) e dell’ira, a cavallo di un orso, che si trafigge in un atto di violenza autolesionistica. S’intravvedono anche la parte posteriore di un elegante levriero, il lupo simbolo del vizio della gola, e l’asino cavalcato da un sonnolento accidioso.  Sulla destra s’intravvedono le vesti bianche di quelle fanciulle che probabilmente componevano il gruppo delle virtù.


Il quarto registro, in basso, riporta forse la scena moraleggiante degli “spensierati di Sion”, che “canterellano al suono dell’arpa”  e ai quali il profeta Amos minaccia la rovina eterna. Si individuano le immagini di nobili eleganti e sfaccendati che si dilettano con i divertimenti mondani e sono inavvertitamente trascinati da un diavolo, al suona della zampogna, verso le fiamme eterne della caverna infernale.

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