Itinerario nella provincia di Mantova
Mantova. I quattro regni dell’aldilà nella concattedrale di Sant’Andrea
Le tappe dell’itinerario
La basilica mantovana di Sant’Andrea fu progettata al tempo dei Gonzaga da Leon Battista Alberti, e fu poi realizzata da Luca Fancelli e completata da Filippo Juvara, che costruì la cupola. Con la sua navata unica, dilatata da profonde cappelle laterali e con la maestosa volta a botte, servì da modello per numerose chiese posteriori. Custodisce la reliquia di alcune gocce del sangue di Cristo, che la tradizione vuole portate da Longino, il soldato romano che trafisse con la propria lancia il costato di Gesù per accertarsi che fosse morto. Il nostro interesse si concentra su due cappelle che si fronteggiano all’inizio della navata e sulla cupola, che propongono immagini dei regni dell’aldilà secondo la visione controriformista dominante nel tardo Cinquecento. La cappella di sant’Antonio, seconda di destra, ha sulle pareti la rappresentazione del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno, opera di Benedetto Pagni nel 1570. La cappella di San Silvestro ha sulla parete sinistra una rappresentazione del Limbo dei Padri, opera di Fabrizio Perla nel 1575. La cupola è affrescata con un Paradiso, opera di Giorgio Anselmi.
La traduzione iconografica che Pagni propone dell’Inferno ha una sua originalità. L’Inferno è una città circondata da alte mura megalitiche, alzate senza legante sovrapponendo blocchi di pietra squadrati. Oltre agli accessi dall’alto, le mura hanno due ingressi a forma trapezoidale, di diversa altezza. L’urbanizzazione dell’inferno non è una novità se si pensa alle immagini classiche della Babilonia infernale o della città di Dite, ma le mura poligonali costruite con enormi blocchi calcarei sovrapposti a secco sono indubbiamente una scelta iconografica originale. Le pietre megalitiche della città infernale hanno anche un significato allegorico: esse recano infatti scolpito il nome dei peccati mortali puniti. La lista dei peccati è interessante perché costituisce una spia delle concezioni morali del tempo. Sono indicati solo tre dei classici vizi capitali: la superbia, l’avarizia e la lussuria; seguono le contravvenzioni ai comandamenti più noti del Decalogo: l’adulterio, la blasfemia, l’omicidio. Si aggiungono i cauchemar dell’epoca: l’eresia, l’infedeltà, il falso giuramento, l’usura e il sacrilegio. Per tutti i peccatori dannati vale l’avvertimento dantesco inciso sull’architrave della porta centrale: lasciate ogni speranza o’ voi ch’entrate. L’ingresso dei dannati all’inferno non avviene certo spontaneamente ma solo al termine di una lotta selvaggia con i diavoli. I dannati sono strattonati, trascinati, caricati sulle spalle, avvinti e cinturati sulle diverse parti del corpo, arpionati con i rampini, infilzati don i forconi, bastonati, lapidati, fino al cessare di ogni resistenza ormai vinti dalle fiamme infernali. Alla base del dipinto una lunga scritta in versi funge da didascalia all’immagine: mortal contempla qui l’oscuro inferno / da le cui pene mai si ha riscatto / d’atroce foco e pien d’horror eterno / sol per affliger corpi et alme fatto. / Pianti stridi tormenti e duol interno / la prova sempre uguale al suo misfatto / in mezzo a spirti rei quel peccatore / che qui mal opra e nel peccato more.
Pagni combina in un unico affresco il Purgatorio e il Paradiso. In una logica bottom-up, il legame tra i due regni dell’aldilà è rappresentato dalle anime che hanno completato il loro periodo di purificazione e che salgono al Cielo. Pagni privilegia quindi un’idea del Purgatorio inteso come anticamera e sala d’aspetto del Paradiso, piuttosto che accentuarne il carattere di succursale a tempo determinato dell’Inferno. La didascalia scritta sul fondo del dipinto esprime tutta l’ambivalenza del focus purgatorius; essa recita: Questi son gli ampii e tenebrosi regni / che nel centro stan chiusi della terra. / Eguali in pene a Dite ma con sdegni / non s’arman contra a Dio d’eterna guerra. / Né questi come quei al tutto indegni / son, di goder quel ben che mai non erra. / Ma quando havran patito in gelo e in fuoco / mutaran miglior stato, e miglior luoco. Il Purgatorio mantovano è immaginato come un’ampia fossa, con altissime fiamme tra le quali staziona una gran folla di uomini e donne. Molti volti esprimono il disagio e la sofferenza, ma la maggioranza dei purganti alza gli occhi al cielo in attesa di un liberatorio intervento divino. La liberazione dei prigionieri è opera degli angeli scesi dal cielo. Ne vediamo le diverse fasi: un primo angelo porge la mano a un uomo ancora tra le fiamme; un secondo angelo fa salire un anziano sul velo; altri due angeli sostengono in volo una donna inginocchiata; più in alto una coppia di angeli ha ormai raggiunto il cielo con una nuova beata; una piccola folla di angeli staziona sulle nuvole in attesa delle disposizioni divine sui prigionieri da liberare.
Il Paradiso è rappresentato in modo convenzionale. Gesù giudice, avvolto in un ampio mantello, siede sulle nuvole del Cielo alla destra del Padre, sullo sfondo dell’empireo luminoso e dei sette cieli. In segno di signoria sul creato Dio Padre poggia la mano sul globo terrestre dal quale si leva la croce della salvezza. Il Figlio porge la mano all’accoglienza dei beati, circondato da uno stuolo di angeli che esibisce gli strumenti della Passione: i tre chiodi, la croce, la corona di spine, il flagello, la colonna, la canna con la spugna. Più in basso, seduti su due tribune di nuvole, i santi affollano il Paradiso celeste. In prima fila sulla tribuna sinistra vediamo Maria, la madre di Gesù, seguita dall’apostolo Pietro (con le chiavi), dal re Davide (con l’arpa) e da San Paolo (con la spada del martirio). Sulla tribuna opposta siedono San Lorenzo (con la graticola) e Mosè (con le tavole del Decalogo).
La rappresentazione dei regni dell’Oltretomba si completa con la visione del Limbo nella cappella di San Silvestro. Il pittore Fabrizio Perla ha descritto la discesa di Cristo agli inferi, evento che il Credo colloca nel tempo compreso tra la morte e la risurrezione. Secondo la tradizione Gesù sarebbe sceso al Limbo per liberare le anime dei Giusti dell’antico testamento. Il Limbo non è un luogo sotterraneo ma un paesaggio di rovine di un’antica città decaduta. Abbattute le porte del confine, Gesù pianta il vessillo della vittoria sulla morte. Lo circondano vecchie barbe sapienziali. Si riconosce il buon ladrone Disma con la sua croce, cui Gesù ha promesso di portarlo con sé in Paradiso. Le figure in maggiore evidenza sono tuttavia quelle dei progenitori: Adamo ed Eva, che hanno i fianchi cinti da un serto di foglie, e il figlioletto Abele, che si aggrappa teneramente alle gambe della madre.
Ci spostiamo ora sotto la grande cupola dello Juvarra. Alzando gli occhi possiamo ammirarvi l’immensa Gloria del Paradiso affrescata in forme tardobarocche da Giorgio Anselmi alla fine del Settecento. La visione è altrettanto convenzionale ma certamente molto più potente di quella un po’ scialba e piatta di Pagni. La divina Trinità presiede la comunione dei santi e la risurrezione dei morti. Il Padre e il Figlio allargano le braccia per accogliere la moltitudine dei beati. La Madre di Gesù siede vicina. Appena più in basso vediamo San Longino che indica la città di Mantova, personificata in una nobildonna, con una corona turrita sul capo, seduta accanto alle ampolle del sangue di Gesù. Si riconoscono alcune figure di Apostoli (Pietro, Giovanni e Andrea) e di patriarchi biblici (Adamo ed Eva, Noè con l’arca e i tre figli, Mosè con le tavole della legge, il re Davide con la cetra). Colpisce la moltitudine di angeli, presenti dappertutto. Alcuni di loro circondano la Trinità e mostrano ai risorti gli strumenti della passione di Gesù. Un girotondo di angeli compone un festone decorativo alla base della lanterna.
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