Itinerario nella provincia di Ancona
Arcevia. Il Giudizio di Ramazzani nella Collegiata di San Medardo
Le tappe dell’itinerario
Situata su un contrafforte della valle del Misa, Arcevia è una storica cittadina marchigiana circondata da mura e aperta panoramicamente verso i monti dell’Umbria e le spiagge dell’Adriatico. Il suo tesoro è la collegiata barocca dedicata a San Medardo, ricca di opere di Luca Signorelli, Giovanni della Robbia, Claudio Ridolfi. Inevitabilmente, però, ad attirare la maggiore curiosità è l’accentuato cromatismo manierista di un’animatissima tela dedicata al Giudizio universale. Essa è stata l’ultima opera di Ercole Ramazzani, una sorta di testamento spirituale per questo pittore locale di convinzioni controriformiste, che l’ha firmata e vi ha apposto la data del 1597.
Un Gesù michelangiolesco scende dall’alto dei cieli - attraverso un varco illuminato dalla luce solare a forma di mandorla sostenuta dagli angeli - e torna con i piedi sulla terra nel giorno dell’ultimo giudizio. La mano destra levata, il corpo ferito, il mantello rosso di martirio trasmettono un chiaro messaggio: Gesù ha voluto prendere su di sé i peccati del mondo e con il suo estremo sacrificio ha voluto offrire a tutti un’opportunità di salvezza; l’umanità ha così liberamente scelto di salvarsi o di dannarsi. Gli strumenti della sua passione sono esibiti in cielo dagli angeli, come altrettanti flash di questa storia di salvezza: la grande croce issata sulle nubi, il velo della Veronica, il martello, la tenaglia, i chiodi, il cartello dell’Inri, la corona di spine, la lancia, la canna con la spugna, la brocca dell’acqua di Pilato, la colonna e i flagelli. Il giudizio finale di Gesù si compie tra due tensioni diverse. Nel giudizio è evidente la tensione della giustizia, simbolizzata dalla spada a doppio taglio e dalla bilancia a doppio piatto portate in mano dall’arcangelo Michele. La seconda tensione è però anche quella della misericordia, simbolizzata dal ramo d’ulivo sventolato dall’angelo e dalla preghiera d’intercessione della madre Maria e di Giovanni il Battista.
Il Paradiso dei beati occupa gli spalti delle nuvole che circondano il giudice. Il pittore ha voluto collocarvi una rappresentanza qualificata degli apostoli, dei martiri, dei patriarchi, delle donne sante, dei confessori e dei dottori della chiesa. Nel gruppo degli apostoli osserviamo Pietro (con le chiavi), Paolo (con la spada), Giovanni (col vangelo e il calice), Bartolomeo (con il coltello) e Tommaso (con la squadra d’architetto). Il gruppo dei patriarchi comprende Mosè (con le tavole del decalogo), Davide (con l’arpa), cui si aggiunge Giuseppe, lo sposo di Maria (con il bastone fiorito). Il coro dei martiri comprende Stefano, il protomartire (con la dalmatica), Sebastiano (con la graticola), Caterina d’Alessandria (con la palma e la ruota) e Barbara (con la torre). Tra i dottori della chiesa spiccano Ambrogio (con la mitria) e Gregorio Magno (con il triregno). Le donne sante sono rappresentate da Chiara (con la pisside). I confessori vedono affiancati Francesco (con le stimmate) e Antonio da Padova (col giglio).
Al centro del dipinto il pittore ha collocato un grande angelo che suona la tromba della risurrezione e dà il la ai quattro angeli che fanno squillare le loro tube, rivolti ai quattro angoli del mondo. Altri due angeli aprono gli archivi, secondo la parola dell’Apocalisse: «E i libri furono aperti; e fu aperto un altro libro, quello della vita; e furono giudicati i morti dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro».
In basso a sinistra assistiamo alla risurrezione universale. I corpi dei morti, ancora avvolti nei loro sudari, emergono dalla nuda terra, rivolgono i loro sguardi al giudice e apprendono quale sarà il loro destino eterno. Il pittore ha fatto ricorso a un elemento cromatico per distinguere gli eletti dai dannati: i buoni risorgono con le carni bianche, mentre i dannati hanno il corpo abbronzato. Frotte di angeli con le loro tuniche e le ali coloratissime scendono dal cielo, aiutano i salvati a uscire dal sepolcro, mostrano loro il cielo e avviano il lungo corteo ascendente, particolarmente fitto di figure femminili, verso il Paradiso.
L’ultima scena è quella dell’Inferno, con Lucifero al centro. La figura demoniaca - irritualmente gigantesca - sovrasta per le sue dimensioni quella del Cristo e degli angeli fedeli. Il suo apparire mima la parusia di Cristo e si staglia tra i bagliori delle fiamme infernali, nel calor bianco degli incendi e nei fuochi d’artificio generati dalle scintille dei tizzoni ardenti. La ‘mandorla’ luciferina - come quella del suo antagonista - è contornata da diavoletti e mostriciattoli alati che fanno il verso ai putti celesti. Il corteo dei dannati precipita verso le fiamme infernali, sospinto dalle saette degli angeli sterminatori, artigliato dai rampini dei diavoli, avvolto nelle spire dei serpenti satanici. Il loro destino di consuma tragicamente tra le braccia - tutt’altro che amorevoli - del principe delle tenebre.
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