Itinerario nella provincia di Fermo

Monteleone di Fermo. Il Giudizio finale di Orfeo Presutti

Le tappe dell’itinerario


Monteleone è un minuscolo borgo della valle del Tenna, che guarda dalla cresta di un colle il profilo del suo capoluogo Fermo. All’ingresso del paese sorge la chiesa dedicata alla Madonna della Misericordia (o del Crocifisso), erede delle chiese devozionali edificate al tempo della peste. Sulla parete sinistra è affrescato un grande Giudizio universale, firmato da Orfeo Presutti di Fano e datato 1548. Non è certamente un capolavoro ma l’opera incuriosisce per la grande ricchezza dei particolari, per la folla dei personaggi che l’anima e per l’intento didascalico, se non pedagogico, che essa declina.


L’affresco è nettamente diviso in due parti: il cielo e la terra. In cielo, al di sopra di un banco di nuvole, si staglia Gesù giudice, attorniato da una corte celeste talmente numerosa da costringere i beati a serrare le fila e a stringersi per la grande foto di gruppo. La terra, in basso, sembra riprodurre una delle spettacolari mappe murali dipinte dai geografi quattrocenteschi: vi si può vedere il paesaggio delle colline marchigiane, con la linea di costa e il mare Adriatico sullo sfondo, e con il fiume che scorre al centro e sfocia in mare; sui colli si distribuiscono le città e i borghi fortificati della marca fermana; una grande folla di risorti vive i suoi momenti di tormento e d’estasi, di gloria e di pena.


Gesù torna sulla terra nel giorno della sua seconda venuta. Alle sue spalle è il varco che si è aperto nei cieli, a forma di mandorla, illuminato dalla luce solare. Ha barba e capelli biondi, un’aureola di raggi luminosi, mostra i fori dei chiodi sugli arti e indossa una tunica rossa (colore del martirio) e un mantello azzurro (simbolo di regalità). La sua mano destra levata esprime la sentenza di giustizia e di misericordia. Gli angeli mostrano gli strumenti della passione e, in particolare, la croce e la colonna della flagellazione. Altri due angeli fanno risuonare le trombe che annunciano la risurrezione. I cartigli esplicitano didascalicamente i messaggi: l’invito ai morti perché risorgano e si sottopongano al giudizio finale (surgite mortui venite ad iudicium), la sentenza benevola che invita a raggiungere i Padre (venite benedicti patris mei) e quella negativa che spedisce i dannati nel fuoco eterno (ite maledicti in igne eternum). Intorno a Gesù un coro di angeli intona melodie celestiali accompagnandosi con strumenti musicali ad arco, a fiato e a percussione.


La corte celeste si accalca su due fasce distinte. In alto, lungo la cornice, sfilano i cori angelici, preceduti dagli alfieri e dai vessilli. Il pittore ha identificato sei gruppi di angeli, privi però dei loro tradizionali attributi: gli Arcangeli, i Principati, le Potestà, i Troni, le Dominazioni e le Virtù. Ai due lati del Cristo si allungano i gruppi dei beati, identificati da scritte ma privi anch’essi dei rituali attributi iconografici. I più vicini a Gesù sono i due intercessori (la madre Maria, che indossa il velo e l’abito lungo e indica al Figlio le anime purganti, e il precursore Giovanni Battista, con l’abito di peli di cammello e la croce astile) e il gruppo degli Evangelisti. Accanto a loro è insediato il tribunale celeste degli Apostoli. Il gruppo femminile delle sante è costituito dalle vergini prudenti e dalle vedove protagoniste delle parabole evangeliche. C’è poi il gruppo dei santi Martiri. Il timorato pittore non ha poi esitato a collocare le gerarchie ecclesiali, con un folto gruppo di vescovi con la tiara, cardinali con la berretta e un papa col camauro (forse Gregorio che indica gli avvenimenti in corso sulla terra e descritti nei suoi Dialoghi). Segue il gruppo dei Confessori mitrati: sono i santi che hanno sofferto le persecuzioni e che hanno testimoniato con coraggio la loro fede.


Scendiamo ora sulla terra. Qui viene innanzitutto descritta la risurrezione dei morti. I corpi dei risorti affiorano dalla nuda terra sui colli e nelle valli, si raggruppano e corrono per sottoporsi al giudizio finale. A pronunciare la sentenza è un grande arcangelo Michele ‘bello, biondo e ricciolino’, dotato di corazza dorata, spada a doppio taglio e bilancia a doppio piatto. I cattivi, condannati dalla psicostasia, cadono dal piatto della bilancia e precipitano a terra nel mucchio dei dannati diventando preda dei diavoli che li caricano come sacchi sulle spalle e li conducono ad inferos. I buoni si raccolgono alla base della bilancia e, in ginocchio, a mani giunte, pronunciano una preghiera di ringraziamento.


Il pittore descrive la geografia dell’aldilà e ci mostra i luoghi cari alla predicazione tradizionale: il paradiso terrestre, il purgatorio, i fiumi infernali, la città di Satana.


L’Eden è immaginato come un giardino, chiuso da un giro di mura a forma di quadrato. All’interno cresce un boschetto con gli alberi della vita e della conoscenza del bene e del male. Un cherubino con la spada sguainata allontana Adamo ed Eva dal paradiso terrestre dopo il loro ‘peccato originale’. Viene così sintetizzata l’intera storia della salvezza, dal peccato dei progenitori al sacrificio di Gesù e al giudizio universale. I due personaggi raffigurati in preghiera nel giardino edenico sono Enoc ed Elia, i profeti che Dio trasportò direttamente nell’aldilà “senza vedere la morte”.


Il Purgatorio è rappresentato come un luogo di fiamme nel quale si purifica chi è stato né completamente buono né completamente cattivo. I purganti si differenziano dai dannati per l’assenza di gesti disperati e per l’atteggiamento di preghiera rivolta al cielo con la richiesta di un intervento liberatorio.


Il dipinto propone un tema raro nell’iconografia dell’oltretomba: il fiume infernale. Si tratta in realtà di una sintesi un po’ ibrida tra i quattro fiumi biblici che sgorgano dalle sorgenti del paradiso terrestre (Pishon, Ghihon, Tigri ed Eufrate) e i cinque fiumi infernali (Acheronte, Flegetonte, Stige, Lete e Cocito) cari alla tradizione classica greco-latina e a Dante. Nel dipinto di Monteleone il fiume nasce dall’Eden e segna il confine con la regione infera: vi vediamo la barca di Caronte che ne traversa la corrente per condurre i dannati nella città di Dite; vi vediamo anche il ponte del capello che traversa le due rive assottigliandosi al culmine dell’arco, costituendo così un’ulteriore prova per i risorti (pons probatorius).


Al di là del fiume i dannati trovano i diavoli che li accolgono, li radunano e li spingono verso la caverna d’ingresso dell’Inferno. Qualche dannato tenta una fuga disperata ma è rapidamente rincorso, braccato, afferrato e immobilizzato dai diavoli. La struttura interna dell’inferno è visibile attraverso dieci cubicula. In queste stanze sono mostrati i peccati puniti e le pene irrogate. I peccati sono le più comuni violazioni dei dieci comandamenti e i classici vizi capitali. È così punito chi non ha rispettato i precetti di Mosè e in particolare il terzo (Ricordati di santificare le feste: chi non guarda le domeniche), il quinto (Non uccidere: chi fa homicidio) e il settimo (Non rubare: chi commette furto). Sono poi puniti i peccati capitali di avarizia, superbia, accidia e gola. Sono anche punite le Lussuria e le sue varianti come l’adulterio e la sodomia. Le punizioni più diffuse sono le ferite e la macellazione con le armi da taglio (il forcone, il pugnale, l’ascia, la mannaia, l’uncino). Ma non mancano le pene del fuoco (la bollitura nel calderone, ustioni e bruciature, lo spiedone sulla brace) e l’umiliazione del corpo umano (cavalcato, brutalizzato e profanato). L’ultima caverna, nell’infero più profondo, ospita un gigantesco Lucifero.

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