Itinerario nella provincia di Padova
Padova. Il Giudizio finale di Giotto
Le tappe dell’itinerario
Padova è dotta ma soprattutto opulenta. Negozi straboccanti e vetrine eleganti distraggono continuamente il turista colto e il pellegrino. Al “Santo”, al Duomo, al Palazzo della Ragione e all’Università fanno da contrappunto luoghi più ‘materialisti’: la Piazza delle Erbe, la Piazza della Frutta, il caffè Pedrocchi, i portici che allineano le mille tentazioni del consumismo agiato. Ma c’è a Padova uno spazio dove è possibile disintossicarsi, respirare aria, verde e arte, abbandonando per un attimo la frenesia urbana. È l’Arena. Oggi è un giardino pubblico, pieno di memorie. Ieri era una fortezza. L’altro ieri era un anfiteatro romano, di cui sono reliquie alcuni archi e scampoli di muri. Nell’Arena sorge la Cappella degli Scrovegni, uno dei templi della pittura italiana. La Cappella fu eretta e fatta consacrare nel 1305 da Enrico Scrovegni, probabilmente per espiare i peccati del padre Reginaldo, che Dante collocò all’Inferno tra gli usurai (XVII, 64-75). Reginaldo ed Enrico sono interpreti esemplari di questa città: ricchi, religiosi, gaudenti, amanti dell’arte e della cultura, e un tantino peccatori.
Ma ora entriamo nella Cappella. Anonima e dimessa all’esterno, è un abbacinante scrigno di pitture all’interno. Il capolavoro di Giotto si srotola in trentotto episodi (taluni celeberrimi) delle vite di Maria e di Cristo. E sulla facciata interna la spettacolare conclusione del ciclo: il grande Giudizio universale.
Gesù lascia l’empireo sfolgorante di luce, ritorna nel mondo attraverso il varco di una mandorla iridata e viene a sedersi sull’arcobaleno della nuova alleanza, attorniato dai simboli dei quattro evangelisti. Il giudizio di salvezza e di condanna che egli pronuncia è simboleggiato dalla gestualità delle mani, la destra aperta nel segno dell’accoglienza dei beati e la sinistra che respinge e allontana i malvagi. La potestà di giudicare l’umanità gli deriva dal suo sacrificio, simboleggiato dalla ferita sul costato (visibile attraverso uno strappo della tunica) e dai fori dei chiodi sulle mani e sui piedi; il messaggio è rafforzato dall’ostensione della croce sorretta da due angeli e dal buon ladrone Disma.
La seconda parusia del Signore è accompagnata dai nove cori degli angeli, schierati sulle due ali del giudice come a una parata militare. Un angelo alfiere, con elmo e vessillo, precede ciascuna delle schiere: a sinistra ci sono gli Angeli, gli Arcangeli, i Principati e le Potestà; a destra le Virtù, le Dominazioni, i Troni e i Cherubini; i Serafini sostengono la mandorla. I dodici apostoli siedono sui troni a fianco del giudice, componendo così il tribunale celeste: il primo alla destra di Gesù è Pietro mentre il primo alla sua sinistra è Matteo. In alto, ai lati della trifora, è raffigurata la fine del mondo: due angeli riavvolgono la volta celeste e spengono gli astri; alle spalle degli angeli si svelano così le porte dorate della Gerusalemme celeste. È la fine del tempo e l’inizio dell’eternità.
La scena successiva è la risurrezione dei morti. I quattro angeli tubicini, sistemati ai lati della mandorla, fanno risuonare le loro trombe. Risvegliati dal loro sonno, i morti sollevano i coperchi delle tombe, escono dalle urne sepolcrali, si aiutano l’un l’altro a riemergere dalla nuda terra, si mettono in ginocchio nell’attesa della sentenza del giudice.
Due cortei di beati sono scortati dagli angeli e condotti in Paradiso. La prima processione, in basso, è costituita dai beati nel nuovo testamento. La prima fila è quella dei Martiri, con le palme in mano; il posto d’onore è occupato da Stefano, il protomartire, seguito dal centurione romano convertito. Seguono i vescovi e le gerarchie. Vediamo poi i santi fondatori di ordini religiosi: Domenico, Francesco e Benedetto. In coda sono le regine, le sante, i laici e il pellegrino.
La seconda processione è formata dai giusti dell’antico testamento. Al primo posto è Maria, la madre di Gesù, che aiuta Eva a sollevarsi. Seguono i gruppi dei patriarchi biblici (Mosè che spinge Adamo), dei re (Davide e Salomone) e dei profeti.
L’Inferno di Giotto ha una geografia complessa. Trae origine da un fiume di fuoco che sgorga dai piedi del giudice, riecheggiando la visione del profeta Daniele 7,10: «Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui». Subito dopo si divide in quattro bracci, speculari ai quattro fiumi che nascono nel Paradiso, memoria dei fiumi infernali della classicità: l’Acheronte, il Flegetonte, lo Stige e il Cocito. Raggiunta la crosta terrestre, i fiumi s’inabissano in modo carsico e scendono nel sottosuolo infero. Prima di colare sotto terra i primi due bracci di fuoco contornano un lago di acqua ghiacciata. L’Inferno assume la fisionomia di una grande caverna tenebrosa, destinata alle torture. Sul fondo sono scavati pozzi e receptacula, le discariche per lo stivaggio definitivo dei dannati.
Giotto e i suoi scolari hanno dipinto un inferno affollatissimo di peccatori di tutte le risme. Nel regno di Satana i dannati non meritano più alcun rispetto e sono sottoposti a ogni forma di dileggio, scherno, derisione e ludibrio: una gigantesca gogna di condannati alla berlina. Ma oltre a perdere tutta la propria dignità, i dannati sono poi sottoposti a ogni forma di pena corporale, con sevizie, torture e amputazioni. Sgherri diabolici e demoni scimmieschi sono i tutor infernali che si occupano del trattamento penale dei dannati e i kapò che applicano con acribia le angherie e le sevizie previste dal protocollo del contrappasso. Il personaggio infernale di maggiore rilevanza è Lucifero, assiso sul trono formato da due draghi inghiottitori; i suoi piedi artigliano e stritolano una massa di corpi alimentata da diavoli portatori; le sue mani afferrano per le gambe due dannati e li danno in pasto alle sue tre fauci, la bocca stritolatrice e i due serpenti che fuoriescono dalle orecchie. I dannati, una volta deglutiti e ruminati sono poi defecati alimentando così una sorta di subroutine bulimica. Tra i piedi luciferini si raccolgono i peccatori di superbia e lussuria, un re coronato, un religioso venuto meno al voto di castità con la sua amante, un vizioso di cui un serpente addenta il sesso. Un secondo personaggio di sicura notorietà è Giuda, il traditore di Gesù: lo vediamo impiccato nel campo del vasaio, con il ventre scoppiato e la fuoriuscita dell’intestino. L’arrivo dei dannati all’inferno segue due strade: la via larga, percorsa dai dannati di buon passo e con le proprie gambe; e il turbine di vento impetuoso che accompagna la corrente dei fiumi di fuoco. In entrambi i casi ad accogliere i reprobi provvedono i diavoli con la loro consueta signorilità. Un mugnaio con un sacco di farina sulle spalle avanza preceduto da un demonio che gli mostra le frodi sul peso e sulla qualità delle farine registrate nelle pergamene della contabilità del mulino. Lo precedono un giudice ingiusto, con berretto e mantella, un vescovo simoniaco che vende indulgenze, i frati infedeli ai voti, trascinati per il saio e per il cappuccio, una donna nuda arpionata da un rampino. Il gruppo dei puniti comprende poi un sodomita impalato su uno spiedone, un monaco evirato con una tenaglia, un gruppo d’impiccati alle parti del corpo colpevoli del loro rispettivo peccato (la lingua, i lunghi capelli biondi, il sesso maschile e femminile), un usuraio costretto a ingoiare un mestolo di oro fuso, un eretico che ha diviso la chiesa, segato in due, una scena di prostituzione con l’uomo che consegna alla donna una borsa di denaro. Il lago di ghiaccio applica ai bollenti spiriti dell’ira e della lussuria la pena del freddo (lo stridor di denti). Nel turbine dei corpi che precipitano dall’alto si riconosce il gruppo degli avari, trascinati e strangolati dai diavoli con il laccio delle scarselle che hanno appese al collo e dal quale non hanno voluto separarsi neppure dopo la morte.
L’ultima scena nel Giudizio giottesco è il gruppo dell’offerta: il mecenate Enrico degli Scrovegni, aiutato da un religioso, dona il modello della Cappella alla Madre di Dio, affiancata da San Giovanni e Santa Caterina.
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