Con Alberto Moravia ed Elsa Morante sui monti di Fondi

Il sentiero della “Ciociara”

Io sapevo dove andavo e una volta fuori dagli aranceti, sulla strada maestra, presi in direzione delle montagne che stanno a nord della pianura di Fondi. C’era un silenzio intirizzito ma anche questo non più notturno, pieno di scricchiolii secchi, di svolazzi e di fruscii: pian piano la campagna si svegliava. Io camminavo avanti a Rosetta e guardavo alle montagne che si alzavano torno torno nel cielo; montagne brulle, pelate, con appena qualche chiazza bruna qua e là, che parevano deserte. Ma io sono montanara e sapevo che una volta su quelle montagne, avremmo trovato campi coltivati, boschi, macchie, capanne, casette, contadini e sfollati. Intanto il sole si era levato, ma appena, dietro l’orlo dei monti; e le cime e il cielo intorno cominciavano a tingersi di rosa. Non c’erano più stelle nel cielo che si era fatto azzurro pallido; quindi il sole brillò ad un tratto, chiaro come l’oro, in fondo agli uliveti, tra i rami grigi; e i suoi raggi si allungarono sulla strada e benché fossero ancora incerti, subito mi parve che la ghiaia sotto i miei piedi non fosse più così fredda. Rallegrata da questo sole, dissi a Rosetta: “Chi lo direbbe che c’è la guerra, in campagna non si penserebbe mai che c’è la guerra”. Rosetta non ebbe neppure il tempo di rispondermi, che un aeroplano sbucò dalla parte del mare…

(Alberto Moravia, La ciociara)

Moravia e la Morante sui monti di Fondi


Durante la seconda guerra mondiale lo scrittore Alberto Moravia dovette rifugiarsi con sua moglie Elsa Morante sulle montagne di Fondi. Il suo nome era in una lista di antifascisti da arrestare e deportare in Germania. La fuga in treno da Roma verso Napoli, dove intendeva raggiungere l’amico Curzio Malaparte, si interruppe però a Fondi a causa dei danni alla linea rotabile. E fu così obbligato a cercarsi un rifugio sulla montagna, nella casa di un amico contadino, Davide Marrocco. In un ripostiglio addossato alla casa, l’allora trentaseienne Moravia e la Morante “abitarono” dal settembre del '43 al maggio del '44, cioè fino all'arrivo delle truppe alleate.

In quei mesi Moravia iniziò a scrivere La ciociara, una delle sue opere più note, che sarà poi terminata e pubblicata 1957. La ciociara è la storia delle avventure di due donne, madre e figlia, sfollate da Roma e finite nelle retrovie del fronte di guerra della linea Gustav. Il romanzo intreccia le giornate di Cesira e Rosetta e degli altri contadini con le vicende della guerra: i bombardamenti dei paesi, la penuria alimentare, le retate dei tedeschi, la distruzione delle case e lo sfollamento forzato dei paesi, la borsa nera e il banditismo, l'allagamento della piana per ritardare l'avanzata degli alleati, gli stupri di massa ad opera dei marocchini "liberatori". Il romanzo esplora il cambiamento che la guerra provoca nella psicologia individuale e nei rapporti sociali. Da questa storia Vittorio De Sica trarrà il film omonimo, interpretato da Sofia Loren e premiato dall'Oscar.


Il quadro ambientale


L'itinerario conduce da Fondi a Sant'Agata, la località che nel romanzo di Moravia è chiamata Sant'Eufemia e che è collocata a mezza costa sui monti Ausoni, tra la Val Vardito e la Valle Vigna, sotto la cresta che collega il monte Latiglia alla Cimoletta. Fondi è oggi il capoluogo di un distretto e di un mercato agricoli di prima grandezza, sia pur con i segni della crisi. La piana di Fondi, un tempo paludosa e malarica, è stata infatti bonificata ed è oggi fertilissima. La piana ospita il grande e frastagliato lago di Fondi e due laghi più piccoli: il lago Lungo e il sovrastante lago di San Puoto. I laghi sono separati dal mare da un cordone di dune costiere e hanno acque salmastre e pescose. Le spiagge che si distendono da Terracina a Sperlonga sono famose e molto apprezzate. La piana è tagliata dalla ferrovia Roma-Napoli e dalla Via Appia (un suggestivo tratto restaurato dell’antica strada romana è percorribile nella vicina gola di Itri). Alle spalle della piana si alzano i monti Ausoni, a nord, e i monti Aurunci a est, protetti da un parco naturale regionale istituito nel 1997. Eccellente belvedere su tutta la piana di Fondi è la Cima del Monte, facilmente accessibile dal passo della Quercia del Monaco, sulla panoramica strada che collega Fondi a Lenola e Vallecorsa.


Il punto di partenza: l’abbazia di San Magno


Si esce in auto da Fondi sulla Via Appia in direzione di Terracina e si devia subito a destra a prendere la Via San Magno per raggiungere in circa 3 chilometri a nord-ovest l’antico Monastero Olivetano di San Magno. Della storica abbazia, che risalirebbe addirittura al sesto secolo, restano i ruderi della chiesa e del chiostro, le celle dei monaci e la cappellina di Sant’Onorato. L’intero complesso è attualmente (2005) in fase di consolidamento e restauro. Ai piedi dell’abbazia sgorga una copiosa sorgente che è stata canalizzata (se ne può percorrere a piedi la grata protettiva sovrastante) e che alimenta il vicino mulino. La visita al mulino ad acqua, restaurato e perfettamente funzionante, consente di seguire il canale dell’acqua e il meccanismo di alimentazione e di vedere all’opera le due grandi pietre circolari destinate a macinare il grano e il granturco. Nei locali del mulino è aperto un piccolo centro d’informazione del Parco degli Aurunci.


Verso Sant’Agata


Da San Magno (20 m) si raggiungono le case di Sant’Agata (a quota 470 m) percorrendo per circa 4 km una stradina oggi asfaltata ma che segue fedelmente la mulattiera che “la ciociara" percorre più volte nel romanzo di Moravia.


Dapprima contornammo in piano il piede di una di quelle montagne, quindi, ad una mulattiera che si staccava dalla strada maestra e andava su di sghembo, tutta sassi, polvere e buche, tra due spiedi di rovi, incominciammo a salire e ben presto ci trovammo in una valle stretta e ripida, tra due monti, la quale si andava sempre più restringendo ad imbuto a misura che si alzava e alla fine, come potevamo vedere, non era più che un passo, lassù in cima, sotto il cielo, tra due vette pietrose. (…) La mulattiera passò dapprima presso un gruppo di case, all’imboccatura della valle e poi prese a destra, lungo il fianco del monte, tra la macchia. Si levava a zig zag, lenta lenta, quasi piana, con qualche strappo di salita. (…) Seguimmo la mulattiera per non so quanto tempo: vagabonda, si arrampicava per un buon tratto sulla montagna a sinistra della valle e poi passava dall’altra parte e prendeva a salire sulla montagna a destra. Adesso potevamo vedere tutta la valle, in salita, fino al cielo: là dove finiva la scalinata gigantesca delle macere, cominciava la fascia scura della macchia; quindi la macchia si diradava e si scorgevano tanti alberi sparsi su un pendio brullo; alfine anche gli alberi cessavano e non si vedeva più che brecciame bianco fino al cielo azzurro. Proprio sotto il crinale c’era come un ciuffo di verdura sporgente; e tra la verdura si intravvedevano certe rupi rosse. Al di là di quel crinale c’erano i monti della Ciociaria tra i quali il Monte delle Fate.

(Alberto Moravia, La ciociara)


L’itinerario è oggi percorribile anche in auto. La strada è però molto stretta e va dunque affrontata con cautela. Se percorsa a piedi, essa sale via via più ripidamente e consente di osservare con attenzione le variazioni della vegetazione, le opere dell’uomo e il panorama della piana. Da San Magno la salita a piedi a Sant’Agata richiede circa 1,30 ore. É anche possibile iniziare in auto, lasciare la vettura in qualche piazzola e proseguire poi a piedi.

Dal parcheggio del mulino di San Magno, si attraversa il ponticello e si prende a sinistra, verso la montagna, la Via Valle Vigna (cartello) che procede tra le case della frazione. Si lascia a sinistra (0,6 km) la strada che porta al Santuario della Madonna della Rocca sul Monte Arcano. Poco dopo la confluenza a destra della Via Torricella, si prende a sinistra la Via Sant’Agata (cartello; km 0,5 - 1,1). Più avanti, ad un bivio prossimo ad alcuni eleganti cipressi e a un ponticello, occorre seguire la via di sinistra (km 0,9 - 2; la strada di destra diventa presto sconnessa e si perde tra gli olivi). Si sale ripidamente prendendo quota con stretti tornanti e si tocca il cartello che segnala l’inizio del sentiero per Monte Casareccio (km 0,6 km - 2,6). Dopo un ulteriore tratto ripido la strada prosegue a mezza costa e tocca la casa Marrocco e le altre belle case di campagna di Sant’Agata  (3,5-4 km da San Magno).


Intanto via via che la mulattiera saliva, si rivelava la natura della valle o meglio della spaccatura che valle non si poteva chiamare perché troppo angusta: un’immensa scalinata i cui gradini più larghi stavano al punto più basso e i più stretti in cima. Questi scalini erano le coltivazioni a terrazza che noialtri ciociari chiamiamo macere, le quali, poi, consistono in tante strisce lunghe e strette di terreno fertile, sorrette ciascuna da un muricciolo di pietre a secco. Su queste strisce cresce un po’ di tutto: grano, patate, granturco, ortaggi, lino; nonché alberi da frutto che si vedono difatti qua e là sparsi tra le coltivazioni. Io le macere le conoscevo bene; ragazza avevo lavorato come una bestia a portare sul capo canestri di pietre per tirar su i muriccioli di sostegno e poi mi ero abituata ad andare su e giù per i sentierucoli ripidi e le scalinatelle che fanno comunicare l’una macera con l’altra. Costano una fatica enorme, queste macere, perché il contadino per farle deve dissodare il pendio della montagna, estirpando la macchia, strappando uno a uno i sassi e portando su, a braccia, nonché le pietre dei muretti, perfino la terra. Una volta fatte, però, gli assicurano la vita, dandogli tutto quanto gli è necessario, di modo che, per così dire, non ha più bisogno di acquistare niente.

(Alberto Moravia, La ciociara)


Il sentiero per Monte Casareccio


A chi ama percorsi brevi e panoramici consigliamo questo sentiero che raggiunge un magnifico belvedere su tutta la piana di Fondi e sulla cerchia dei monti Ausoni e Aurunci. Il Monte Casereccio è la costola del Monte Latiglia che abbraccia Sant’Agata e si allunga verso la piana di Fondi. L’attacco del sentiero è segnalato da una targa di legno della Comunità Montana che s’incontra sulla sinistra della stretta strada asfaltata che sale a Sant’Agata, immediatamente dopo una doppia curva a gomito, all’altezza di una casa la cui strada d’accesso è chiusa da una sbarra bianca (piazzola per due auto; 2,6 km da San Magno). Il sentierino, non segnato, s’innalza a tornanti  nella rigogliosa macchia del fianco orientale, con un bel panorama sulla testata della valle e le case sparse di Sant’Agata, costeggia la recinzione di un uliveto, tocca una zone di rocce chiare e raggiunge la cresta del monte (30 minuti dalla strada). Il panorama si apre sull’altro versante, sulla Val Vardito, il Monte Arcano e il Santuario della Madonna della Rocca, oltre che su Monte delle Fate e su tutta la cresta da Monte Latiglia alla Cima del Monte. Si prende a sinistra, si procede in leggera salita destreggiandosi al meglio tra le rocce e l’intrico della macchia, e si raggiunge in 10-15 minuti il balcone roccioso (471 m.) che offre il miglior panorama sulla piana di Fondi.


Vedevamo benissimo tutta la valle di Fondi sparsa di aranceti scuri e di case bianche e poi, dalla parte di Sperlonga, la striscia del mare e sapevamo che in quel mare c’era l’isola di Ponza che, infatti, qualche volta, col tempo chiaro si vedeva e sapevamo pure che a Ponza c’erano gli inglesi ossia la libertà. (…)

La mulattiera girava a zig zag per il fianco del monte di sinistra, quindi, ad un certo punto, ad una rupe che sbarrava il passo, correva per un ripiano e poi riprendeva a scendere sul monte di destra. Questo ripiano era un luogo strano: c’erano tante rocce ignude e ritte, di forma curiosa, simili a pan di zucchero, di un color grigio come la pelle degli elefanti, tutte sforacchiate di grotte e grotticelle; e, tra queste rupi, c’erano molti fichi d’India, con le loro foglie verdi e carnose che sembravano tante facciole gonfie e piene di spine. Il sentiero serpeggiava tra i fichi d’India e le rocce, lungo un ruscelletto che era proprio una bellezza a vedersi, con l’acqua chiara come un cristallo sopra un letto di borraccina verde. Ora, come giungemmo sul ripiano, udimmo il fragore di una squadriglia di aeroplani…

(Alberto Moravia, La ciociara)

Per approfondire

Il romanzo La ciociara scritto da Alberto Moravia (Alberto Pincherle, Roma 1907-1990) è stato pubblicato nel 1957 da Bompiani. Dal romanzo di Moravia, il regista Vittorio De Sica ha tratto nel 1960 il film omonimo in bianco e nero, interpretato da Sophia Loren (nella parte di Cesira) e Jean-Paul Belmondo (in quella di Michele); la riduzione e la sceneggiatura sono dovute a Cesare Zavattini. Con questo film la Loren ha ottenuto nel 1961 l’Oscar come migliore attrice. Il film è stato restaurato nel 2001.


Il parco naturale dei Monti Aurunci (Viale Glorioso 10 – 04020 Campodimele – tel. 0771-598114  - web: www.parcoaurunci.it) è una delle aree protette istituite dalla legge regionale n. 29 del 1997 ed è la più meridionale del Lazio. Si estende su un territorio di circa 20 mila ettari che comprende parte del territorio delle due province di Frosinone e Latina e di dieci comuni: Ausonia, Campodimele, Esperia, Fondi, Formia, Itri, Lenola, Pico, Pontecorvo e Spigno Saturnia.


Tra le guide escursionistiche – accanto ai dépliant e alle guide del parco degli Aurunci – si segnalano “Sentieri nel Parco dei Monti Aurunci” (2006) con 22 itinerari, il volume primo di “A piedi nel Lazio” di Stefano Ardito (Guide Iter, Subiaco), le guide “Sul sentiero degli Aurunci” (1998) e  “A piedi sugli Aurunci” (1994), entrambe dovute a Cosmo Di Milla, e le due Guide ai “Monti Ausoni” (19 itinerari) e ai “Monti Aurunci” (34 itinerari), complete di cartine realizzate in scala 1:25.000, dell’Apt di Latina. Alcuni itinerari escursionistici sono descritti nel sito istituzionale della XIX Comunità montana dei Monti Aurunci

(www.xixcomunitamontana.it).

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