Traversata della Maiella da Campo di Giove a Palena
Il Guado di Coccia
Una traversata d’altri tempi sull’antica mulattiera che collegava Campo di Giove a Palena. Sul valico di Coccia passava anche il “sentiero della libertà” che tra il ’43 e il ’44 consentì a prigionieri di guerra, soldati e partigiani di aggirare i presidi tedeschi, passare il fronte e raggiungere le terre libere. A una salita non troppo dura segue una lunga discesa, tra eremi e ricordi di guerra, nel parco nazionale della Majella. Gli impianti di sci sui due versanti ci ricordano che i tempi sono cambiati.
Il quadro ambientale
La cresta occidentale della Majella s’impenna sopra Caramanico, sosta per un attimo alla Rapina (2027 m), continua a salire tra i mughi a raggiungere i 2627 metri di Pesco Falcone e resta lungamente in quota, solcata dai ghiaioni che scendono a picco sui boschi della valle dell’Orta e sul Guado di San Leonardo. Dopo il picco dei 2793 m del monte Amaro, la cima più alta del massiccio, la cresta prosegue alta sul vallone di Femmina Morta, aggira la testata del Fondo Majella e s’interrompe alla Tavola Rotonda. Qui, con un lungo tavolato solcato dalle sciovie scende sul Guado di Coccia, e risale verso le cime del Porrara per poi esaurirsi alla Forchetta Palena. Il Guado di Coccia (1674 m) è dunque la larga depressione erbosa che interrompe bruscamente l’alta bastionata occidentale della Majella e mette in comunicazione la conca Peligna con l’alto Aventino.
Sul versante occidentale il Guado di Coccia è raggiunto dalla storica mulattiera di Campo di Giove e dagli impianti sciistici che risalgono la Valle Quartarana. Dal versante orientale salgono al Guado la mulattiera di Palena e la strada sterrata del Piano di Sant’Antonio che porta agli impianti da sci.
Le vicende belliche
La guerra irrompe nella vita di Campo di Giove e degli altri paesi della Majella a metà ottobre del 1943. Le prime guarnigioni tedesche si insediano nei paesi e rastrellano gli uomini destinati a lavorare nella costruzione della linea Gustav. Numerosi prigionieri di guerra fuggiti dal campo di Fonte d’Amore, insieme a soldati sbandati diretti a sud sono assistiti da un’embrionale struttura di resistenza e avviati al di là del fronte. La presenza armata tedesca aumenta con il passare dei giorni e con essa aumentano i rastrellamenti, le perquisizioni alla ricerca degli ex prigionieri, le requisizioni di case, beni e animali, il coprifuoco, i divieti e il terrore della popolazione. A metà novembre viene eseguito l’ordine di sfollamento della popolazione civile. I bombardamenti alleati e le mine tedesche danneggiano pesantemente le abitazioni e le infrastrutture civili. Nei mesi invernali, dopo lo sfondamento delle difese del Sangro e la battaglia di Ortona, la sopravvenuta stasi del fronte favorisce il passaggio delle linee di militari e civili in fuga verso sud, verso Casoli e i paesi liberati. Dopo la caduta di Montecassino, la precipitosa ritirata dei tedeschi utilizza tutte le direttrici interne verso nord, e in particolare le strade per Caramanico e Sulmona, verso L’Aquila, Rieti e l’Umbria. Tra l’8 e il 9 giugno del 1944, Campo di Giove viene occupato dai soldati alleati, accolti al suono delle campane.
Marciamo da quattro ore quando troviamo il primo campo coltivato, coperto da sottili steli di grano. La nebbia si è sollevata e la valle è illuminata dal sole come le montagne. La foresta di betulle è ormai alle nostre spalle e ci avviciniamo alle pendici meridionali del Morrone. A nord-ovest una città sorge nel mezzo della vallata: è una vecchia conoscenza, Sulmona. «Grazie a Dio!» dice Sherk. «Finalmente siamo a sud di quella città! Ci abbiamo messo cinque settimane!» «E siamo ancora liberi», nota Sam. «Addio campo, addio Sulmona».
Le ultime pendici sono molto ripide. A destra compare un’altra città: è Pacentra, dorata e piena di pace in cima ad un colle invaso dal sole. Troviamo la prima strada e l’attraversiamo due o tre volte, di tornante in tornante. Più in basso attraversiamo un fiume su un solido ponte di pietra. Poi saliamo di nuovo, torniamo a discendere, tagliamo per i campi e infine giungiamo in vista della strada che porta a Campo di Giove. La seguiamo per un miglio. Compare Campo di Giove. Sorge su un rilievo, e si vede subito la chiesa di solida pietra. Le mura delle case sono marrone e dorate, il villaggio è piccolo e compatto, concreto e grazioso nella morbida luce del sole.
A sinistra, contro la montagna, vediamo i rottami di un aereo, che sembrano una croce spezzata. Appena entriamo nel villaggio, una piccola folla ci si raccoglie intorno: sono quasi tutti bambini. I bambini sono molto eccitati, mentre gli uomini, vestiti di nero, sembrano seri e ottusi. (…) Avevano creata un’organizzazione per aiutare i prigionieri. Il quartier generale era a Campo di Giove, e tutto il villaggio vi era coinvolto. Fino a quel momento avevano aiutato più di duecento prigionieri, passando loro abiti, scarpe, ecc. Li avevano anche forniti di cibo: in quei giorni, l’organizzazione passava ai duecento prigionieri, dispersi in varie località attorno al villaggio, due pasti al giorno. I nostri vivevano nelle capanne, nelle stalle, nei pollai, nelle cantine, e le donne portavano loro il cibo verso mezzogiorno e prima del tramonto.
(Uys Krige, Libertà sulla Maiella)
L’itinerario
Da Campo di Giove (1064 m) si segue in auto la strada per Palena-Roccaraso per circa 1,5 km. Raggiunta una cava (1095 m), si prende a sinistra una strada che sale a tornanti nel bosco di Secine, fino a incrociare sulla destra il sentiero P4 del parco (n. 1 del Cai) che da Campo di Giove sale a Guado di Coccia. Parcheggiata l’auto, s’imbocca il sentiero (1260 m) in direzione sud-est che sale dolcemente sul fianco della Serra Carracino. L’elemento di interesse della salita è l’eremo della Madonna di Coccia, in rovina ma ben riconoscibile nell’impianto e nella parte absidale (ore 1). Dopo la cappella il sentiero s’impenna, traversa una zona scomoda e franosa, con rottami dell’antica funivia, e sbuca sulla pista da sci. La si risale faticosamente a sinistra, fino a raggiungere l’ampio valico di Guado di Coccia (1674 m; ore 0,30-1,30).
Il valico può essere raggiunto con fatica ovviamente molto minore, utilizzando la seggiovia, aperta in agosto, oltre che nella stagione sciistica, che sale dalla zona residenziale a circa 3 km da Campo di Giove, sulla strada per Palena-Roccaraso. Prossima alla stazione d’arrivo è uno chalet di ristoro.
Sul valico è il cippo che ricorda il sacrificio di Ettore De Corti, tenente pilota udinese, studente di ingegneria; intercettato, ferito e poi ucciso dai tedeschi, riuscì tuttavia a mettere in salvo il gruppo di fuggiaschi con il quale tentava di superare la linea del fronte.
In discesa si seguono fedelmente i segni del sentiero fino a raggiungere i ruderi dell’eremo di San Nicola. Si continua in discesa, con notevoli difficoltà in alcuni tratti a individuare i segni del sentiero, tenendosi comunque sulla sinistra del vallone. Si trova infine una buona mulattiera che traversa a sinistra e sbuca infine sulla strada asfaltata a poca distanza dall’ingresso nord di Palena (767 m; ore 2,00-3,30). Se si vogliono evitare problemi di orientamento nella discesa, è possibile spostarsi sulla destra del vallone di Cocci, puntando agli impianti sciistici e percorrendo in discesa la lunga strada che sale dal Convento di Sant’Antonio (878 m), a sud di Palena.
Il dislivello è di circa 400 m in salita e 900 n in discesa.
Per organizzare in modo ottimale la traversata è opportuno disporre di due auto; la prima va lasciata a Palena; la seconda serve invece a raggiungere il sentiero da Campo di Giove o la funivia di Coccia e va recuperata al ritorno. Palena e Campo di Giove distano su strada circa 24 km.
24 marzo 1944 venerdì
Arriviamo ormai a notte sotto Pacentro e là ci riuniamo con l’altro gruppo, condotto da Mario e Gino. Verso le venti cominciamo la marcia in silenzio e in fila indiana. La marcia prosegue assai bene: cielo sereno, poco freddo; saremmo una sessantina, di cui venticinque prigionieri; fisicamente mi sento a posto. Verso gli ottocento metri comincia la neve; poco dopo Alberto ci invita ad essere particolarmente silenziosi perché siamo vicini a Campo di Giove: infatti verso mezzanotte Carlo Autiero mi addita una macchia scura alla nostra destra e si sente un abbaiar di cani. Continuando, la salita diventa sempre più aspra, però la neve è buona; regge assai bene e si sprofonda poco: però qualcuno comincia a scoppiare, cerco di aiutare, insieme ad un altro, un prigioniero che non ce la fa più. Avvertiamo Alberto, ma questo dice che non può rallentare la marcia inquantoché si deve giungere al Guado di Coccia prima dell’alba, pena la sicurezza della spedizione: così quello deve essere abbandonato.
Si progredisce molto lentamente, in alcuni punti dovendo camminare quasi a quattro gambe perché i soli piedi non fanno presa (specie io, che non ho chiodi) sulla neve gelata nei punti più erti; in altri sprofondiamo fino al ventre: mi aiuta molto il bastone con la racchetta.
Alle quattro, ormai del 25 marzo, siamo sul Guado, purtroppo il tempo è improvvisamente mutato, il cielo è nuvoloso e si alza un forte vento: ci fermiamo un buon quarto d’ora per attendere i più lenti; mangio un po’ di zucchero e biscotti con neve.
Proseguiamo, ma poco dopo siamo costretti a fermarci; è cominciata una vera e propria tormenta e le guide non osano andare avanti così al buio: attendiamo per più di mezz’ora l’alba, sotto un vento gelido e con nevischio, battendo i piedi per non farli congelare; io li sento zuppi; nella salita ho perso il basco e lo sostituisco con una maglia che mi fa da passamontagna. (…) Arrivati quasi a valle, attraverso una neve che, in parte fresca e in parte non gelata, regge poco, la tormenta cessa e vediamo sotto noi un paesetto quasi completamente distrutto. (…) Che il paese sia Taranta viene riconosciuto solo mentre lo raggiungiamo: non si vede anima viva. Ci fermiamo alcuni minuti sulla strada rotabile, poi entriamo nel paese e ci viene incontro tra la nostra gioia un tenente indiano. Ce l’abbiamo fatta!
(Carlo Azeglio Ciampi, Diario)
Per approfondire
L’esperienza della fuga dal campo di prigionia di Fonte d’Amore e dei tentativi di ricongiungersi con le truppe alleate è stata raccontata da numerosi protagonisti. La testimonianza più nota è quella di Uys Krige, giornalista e poeta sudafricano, corrispondente di guerra. Il racconto della prigionia, della fuga verso la liberta, dell’aiuto ricevuto da tanti contadini e pastori abruzzesi è contenuto in The way out, pubblicato in italiano da Vallecchi nel 1965 con il titolo Libertà sulla Maiella. Altre testimonianze sono state tradotte dall’inglese e pubblicate in italiano per iniziativa degli studenti e dei docenti del Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Sulmona: John Esmond Fox, Spaghetti e filo spinato, Edizioni Qualevita; E si divisero il pane che non c’era, Sulmona, Liceo Scientifico “E. Fermi”; Donald I. Jones, Fuga da Sulmona, Edizioni Qualevita. Il sentiero della libertà, Edizioni Qualevita. Quest’ultimo testo raccoglie anche il diario di Carlo Azeglio Ciampi, donato dall’allora Presidente della Repubblica al Liceo di Sulmona.
“Il sentiero della libertà – The Freedom Trail” è oggi una marcia che ripercorre in tre giorni l’itinerario da Sulmona a Casoli, passando per Campo di Giove, il Guado di Coccia, Palena e Taranta Peligna. L’iniziativa è promossa dal Liceo scientifico di Sulmona e coinvolge studenti di scuole di diverse nazionalità. L’iniziativa, in atto dal 2001, è descritta nel sito www.ilsentierodellaliberta.it/ o nel sito del liceo:
www.liceoscientificosulmona.it/. Le immagini della marcia sono raccolte nel Dvd “Il sentiero della libertà” prodotto dal Liceo nel 2004. L’itinerario è descritto anche da Diego Marani nel suo Sentieri partigiani in Italia (Terre di mezzo, Milano, 2006).
A piedi sulla linea Gustav
Itinerari escursionistici da Montecassino all’Adriatico
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