Itinerario nella provincia di Ferrara

Ferrara. Il protiro del giudizio universale

Le tappe dell’itinerario

La Cattedrale di Ferrara ha una storia lunga, iniziata già nel 1135, e condizionata da terremoti, crolli, demolizioni, rifacimenti, restauri. La fama universale e il rilievo architettonico e artistico conquistati dal Duomo s’intrecciano alla storia della stessa città di Ferrara, che è stata capitale per oltre un secolo e che oggi gode della reputazione di Patrimonio mondiale dell’umanità conferitole dall’Unesco.

Vogliamo qui concentrare l’attenzione sulla facciata del Duomo e in particolare sul protiro sorretto dalla loggia che sovrasta il portale maggiore. Vi compare un lungo e complesso ciclo di sculture dedicate al tema del Giudizio universale. Esse risalgono al XIII secolo e in particolare al decennio tra il 1240 e il 1250, esprimendo così la cultura del romanico antelamico. La collocazione del ciclo scolpito del Giudizio sulla facciata del Duomo è del tutto inusuale in Italia mentre richiama i numerosi esempi dei portali scolpiti delle cattedrali francesi.


Il giudizio finale ha inizio con la risurrezione dei morti. L’umanità viene risvegliata dallo squillo dei fiati suonati da due angeli trombettieri, scolpiti al centro della trabeazione. Nei pennacchi fra i tre archi gotici della loggetta della Madonna sono raffigurati quattro sepolcri: gli uomini e le donne in essi sepolti si risvegliano, sollevano i coperchi e ancora avvolti dai sudari, scavalcano le pareti delle tombe e si alzano per presentarsi al giudizio individuale con gli occhi levati verso gli eventi che accadono in cielo.

La scena celeste è descritta nel timpano triangolare. Il Cristo risorto, radioso, si apre un varco nei cieli (la mandorla) e torna sulla terra per giudicare l’umanità. Siede sul trono (l’arcobaleno della nuova alleanza) con i piedi poggiati su una predella. Indossa una tunica aperta e mostra la ferita sul costato e le stimmate sulle mani e sui piedi. Il giudizio che egli pronuncia è simbolizzato dal Libro che figura aperto sulle sue ginocchia: è il libro del bene e del male che contiene le opere buone e cattive compiute da ciascuno dei risorti. Al suo fianco due angeli in piedi mostrano gli strumenti della passione di Gesù direttamente responsabili delle piaghe che egli esibisce: la croce, la lancia e i chiodi. Accanto agli angeli i due avvocati difensori sono prostrati in ginocchio e pregano per intercedere la misericordia del Giudice. La Madre Maria, col capo velato, non esita a guardare negli occhi il Figlio. L’altro intercessore è un personaggio canuto e anziano: non ha gli attributi caratteristici dell’altro abituale intercessore, Giovanni Battista il precursore; e non è nemmeno il giovane e imberbe apostolo Giovanni che stazionava con Maria sotto la croce; probabilmente lo scultore ha voluto rappresentare l’evangelista Giovanni in età avanzata, quando a Patmos ha avuto la visione dell’Apocalisse, oppure l’anziano Giuseppe, il padre putativo di Gesù, ricomponendo così la sacra famiglia. Sui salienti del timpano sono raffigurati i diversi personaggi della corte celeste: i seniori apocalittici e il coro degli angeli con gli strumenti musicali (il salterio, la crotta, i timpani, il corno e i campanelli), gli angeli con i cartigli della duplice sentenza e con altri strumenti della passione (i flagelli) e infine due angeli che pongono sul capo di Gesù la corona della sua regalità.

Al centro della trabeazione, al fianco degli angeli trombettieri, è la scena della psicostasi. L’arcangelo Michele pesa sui due piatti della bilancia i meriti e i demeriti di ciascun risorgente. Un diavolo cerca di condizionare l’esito del giudizio tirando in basso il piatto delle opere cattive. Sulla base dell’esito del giudizio si formano i due cortei dei beati e dei dannati. Il corteo dei beati è condotto per mano da un angelo verso il Paradiso: gli eletti indossano la corona della gloria e la veste candida e congiungono le mani nel gesto della preghiera di ringraziamento. I dannati procedono in corteo legati al collo da una pesante catena, spinti e trascinati da diavoli teratologici con facce da caproni, code e arti villosi: a differenza dei beati, i dannati sono raffigurati nudi e mostrano sul volto le espressioni dell’infelicità e della disperazione; portano anche i simboli del loro peccato: la sacca dei denari dell’avarizia, la spada della violenza omicida, il gesto autolesionista di strapparsi i capelli tipico dell’ira.

Il Paradiso è simbolizzato nel lunettone di sinistra con la tradizionale immagine del seno di Abramo. Il patriarca è un personaggio solenne e ieratico, con una lunga barba fluente; regge con le mani un velo di lino sul quale sono raccolte le testine di Lazzaro e degli altri beati; ai suoi lati sono raffigurati due cortei: a sinistra sono i giusti del vecchio testamento, gli ebrei preceduti da Mosè (con la verga); a destra sono i battezzati del popolo di Dio, preceduti dal vescovo con la mitria e il pastorale.

Specularmente, il lunettone di destra mostra la visione dell’Inferno. I luoghi di punizione dei dannati sono due. Il primo è la bocca dentata e stritolatrice del Leviatano infernale; il secondo è una grande caldaia che bolle sopra un fuoco alimentato da tronchi e fascine di legno. I diavoli punitori afferrano i dannati che arrivano in corteo e li spingono nella gola del mostro luciferino o nel calderone bollente. Qui un terzo diavolo provvede a rimestare il carnaio umano con un lungo bastone.

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