Itinerario nella provincia di Como
Peglio. Il Giudizio finale e un conturbante Inferno
Le tappe dell’itinerario
Peglio è un antico borgo dell’alto Lario, reso caratteristico dal fitto reticolo di strade e case in pietra. Vi sale una strada provinciale che parte da Gravedona e dalle rive del lago di Como. A margine del paese è la chiesa parrocchiale dedicata ai santi Eusebio e Vittore, situata nei pressi del cimitero, in posizione isolata e con una magnifica vista sul lago. Dopo il 1613, terminata la ricostruzione della chiesa, la decorazione fu affidata a Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino, pittore dei Sacri Monti. La decorazione comprende due grandi affreschi raffiguranti la città infernale e il giudizio universale, sulle pareti, e poi la Pentecoste, l’Incoronazione della Vergine, Dio Padre benedicente e i Dottori della Chiesa nei riquadri della volta.
Il coloratissimo Giudizio Universale si trova sulla parete sinistra del presbiterio. La geografia del giudizio è piuttosto movimentata. Le scene comprendono il cielo, la terra, il fiume e la città infernale. In alto è la figura centrale di Cristo giudice, che indica il Padre, imbraccia la croce e mostra le ferite della passione sulle mani, sui piedi e sul costato. Ai suoi lati pregano in ginocchio gli intercessori: più compunto Giovanni Battista il precursore; più attiva la madre Maria, che mostra al figlio l’umanità risorta e gli chiede di essere benevolo nel giudizio finale. Dietro la Madonna vediamo gli apostoli seduti sui troni del tribunale celeste: in prima fila sono San Pietro (con le chiavi) e San Bartolomeo (con il coltello del martirio). Più in alto è ritratto il gruppo delle donne sante che portano in mano la palma del martirio: tra esse vediamo Santa Caterina d’Alessandria (con le insegne regali e la ruota) e Sant’Agata (con i seni tagliati su un piatto). Dietro Giovanni Battista si affolla il gruppo dei patriarchi biblici, tra i quali spiccano Adamo ed Eva (cinti di foglie di fico), Mosè (con le tavole del Decalogo) e il re Davide (con l’arpa). Più in alto sono i martiri. Si riconoscono tra essi San Lorenzo (con la graticola), San Sebastiano (con le frecce in mano) e San Giorgio (o San Pantaleone) con la ruota di pietra. A segnare il passaggio tra il cielo e la terra è il gruppo dei quattro angeli tubicini che suonano le trombe del giudizio. In basso a sinistra è descritta la risurrezione dei morti, ambientata in una landa desolata: in primo piano vediamo una pietra sepolcrale che si solleva, uno scheletro completo che si rianima, due mummie che fanno capolino nei sepolcri, alcune figure di risorti che si sollevano da terra. Il gruppo di risorti si raduna su un’altura ad ascoltare la sentenza che li riguarda. E qui avviene la separazione. L’arcangelo Michele (col cimiero, la lancia e la bilancia a doppio piatto) guida il gruppo dei giusti nell’ascesa verso il Paradiso. I dannati, viceversa, precipitano a capofitto nel fiume infernale, l’Acheronte. Il barcone di Caronte provvede a raccoglierli e a sbarcarli nella bocca infernale del Leviatano. Al di là del fiume, sulla terraferma, è costruita la città di Dite, l’inferno urbanizzato. Sul ponte d’accesso vediamo i diavoli che portano nella gerla il loro triste raccolto di dannati. Sulle torri più alte vediamo diavoli trombettieri e scene di caccia selvaggia al dannato. In primo piano, un diavolo, aiutato da un draghetto volante, spinge i reprobi verso la porta alla base della torre. Altri dannati, sorvegliati da serpenti, occhieggiano nella fetida cloaca sotterranea.
Di fronte al Giudizio Universale, il secondo dipinto racconta l’Inferno e quel che succede all’interno delle mura della città di Dite. E qui la fantasia sadica e morbosa del pittore si aggira nell’immensa sala di tortura per descrivere le più terribili punizioni somministrate ai dannati. La ruota è strumento di tortura in tre versioni: nella sua forma dentata che gira vorticosamente straziando i dannati; nella ruota da mulino girata dai diavoli che spreme i corpi dei dannati; nella sua forma aerea con i dannati appesi e colpiti da frecce e dalla punta di una lancia. Ci sono poi le punizioni con armi da taglio: uno scismatico è selvaggiamente fatto a pezzi a colpi d’ascia, mentre il suo sangue è raccolto in una caldaia; una coppia concubina è fatta a spezzatino da due diavoli direttamente sul letto del peccato. I tranci sono poi messi a bollire in una caldaia. Vediamo poi le scene terribili del dannato impalato, degli impiccati sotto l’arco del ponte, della disarticolazione delle ossa provocata dallo scarrucolamento. Impressionanti sono le torture applicate ai golosi e agli usurai, costretti a bere oro fuso o a ingurgitare senza sosta il contenuto di un’intera botte. Più tradizionali sono invece le pene della donna cavalcata dal demonio, del pozzo di fuoco e del lago di ghiaccio, sorvegliati da un Cerbero a tre teste. Ma si torna subito alla ferocia e alla fantasia da maniaco per punire la donna adultera, flagellata con fruste di ferro, strattonata per i capelli, addentata al seno dai serpenti e infilzata da un forcone. O per punire i peccati di lingua di un’altra donna, addentata in bocca da una vipera, stritolata da un serpente, con il corpo invaso di scorpioni e insetti repellenti. Un avaro è impiccato e strangolato con la stessa corda che regge la scarsella dei soldi appesa al collo. Di fronte alla crudeltà delle scene passano persino in secondo piano le sembianze teratologiche, belluine, cinocefale, ferine e scimmiesche dei diavoli che popolano i cortili della città di Dite.
A margine dell’Inferno il pittore colloca il Purgatorio, raffigurato come un’enorme fornace di altissime fiamme. Le anime purganti sono qui sottoposte alla sola pena del fuoco. Il loro atteggiamento esterno non è certo quello disperato e catatonico dei dannati. Pur nella sofferenza essi attendono in fiduciosa preghiera il termine della loro pena. L’intervento divino si manifesta con la discesa dal cielo degli angeli che vengono a liberare dal fuoco le anime redente e ad accompagnarle verso il Cielo.
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