Itinerario nella provincia di Macerata
Mevale. Terremoto giudiziario nella Pieve
Le tappe dell’itinerario
Isolato e remoto, a pochi passi dal confine con l’Umbria, Mevale è un piccolo borgo solitario, maltrattato dai terremoti. Ma chi visita Visso o l’abbazia di Sant’Eutizio a Preci non sbaglia ad allungare di qualche chilometro la sua escursione per scoprire la Pieve di Mevale. All’interno, la controfacciata è rivestita da un Giudizio Universale dipinto da Fabio Angelucci e da Ascanio Poggini nel 1600. Anche se ha risentito dei traumi sismici l’affresco è ancora leggibile ed è ricco di citazioni michelangiolesche. Al centro è il Cristo con il braccio levato nel gesto del giudizio. In alto lo sovrasta la colomba dello Spirito santo. Ai suoi fianchi sono schierati la madre Maria, il buon ladrone Disma con la sua croce, San Pietro con le chiavi e il tribunale celeste degli apostoli. Più in alto, intorno all’oculo, volteggiano gli angeli che mostrano gli strumenti della passione di Gesù: la croce, la corona di spine, la colonna con le fruste della flagellazione, la scala. Gli angeli tubicini danno fiato alle trombe e chiamano i morti al risveglio. Un cartello esplicita il messaggio: «Surgite mortui, venite ad iudicium». Al suono della tromba l’umanità si ridesta: gli scheletri si ricompongono, le mummie sgusciano fuori dalla nuda terra ancora avvolte nei loro sudari, i risorti si sollevano in piedi e guardano in alto verso il giudice, i graziati ascendono in cielo. Un angelo espone i cartelli con la doppia sentenza di assoluzione e di condanna. Ai buoni il giudice divino rivolge l’invito: «venite benedicti Patris mei possidete paratum vobis regnum» che vuol dire - tradotto dalla Vulgata matteana: «Venite, benedetti del Padre mio ed entrate nel Regno che è stato preparato per voi». Ai cattivi il giudice ingiunge: «Discedite a me maledicti in ignem aeternum, qui paratus est diabolo, et angelis ejus», che vuol dire: «Allontanatevi da me, maledetti, e andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e gli angeli suoi». E i diavoli si scatenano: afferrano e tirano giù per i capelli le donne, abbrancano per le gambe un uomo che non si è ancora riavuto dalla sorpresa, strattonano e precipitano in basso un avaro che non vuole privarsi del suo sacchetto di monete, trascinano giù gli adulteri ancora avvinti, agganciano con i rampini un uomo sconvolto. Da un invidioso in caduta libera un serpente esce dalla bocca e lo morde sul fianco. Una donna prosperosa ormai vinta è tormentata da un grosso serpente. Caron dimonio sgombra la sua barca dai dannati che hanno traversato la palude infernale e batte col remo qualunque s'adagia: monache infedeli ai voti, teste coronate, porpore e prelati. Sotto la crosta terrestre è scavata una caverna tetra e buia. Intorno a un focolaio di fiamme si muove una folle di diavoli governata da Lucifero, incatenato al suo trono, con un cane rabbioso ai piedi. Una donna è costretta a sorbire un liquido che un demonio le versa in gola da una brocca: forse il metallo fuso del tesoretto detenuto dall’usuraia oppure la punizione dei vizi della gola. Un dannato è strangolato da un demonio mentre il suo corpo è morso dai serpenti e percorso dagli scorpioni.
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