Itinerario nella provincia di Vercelli

Riva Valdobbia. Un Giudizio di montagna

Le tappe dell’itinerario

Risalita la lunghissima Valsesia, poco prima di raggiungere Alagna, ci fermiamo a Riva Valdobbia. Il piccolo centro è noto perché è lo sbocco della Val Vogna e il punto di partenza per comode escursioni, tra le più piacevoli della zona, lungo il torrente Vogna in direzione di minuscoli borghi, di chiese affrescate, dell’oratorio di San Grato, del ponte di Napoleone, delle case walser e poi degli alpeggi, dei boschi, dei pascoli e dei rifugi in quota. Il campanile di Riva ci guida al ritorno verso la piazzetta della chiesa, un piccolo salotto che è punto d’incontro e di rinfresco dopo le passeggiate.


Alzando gli occhi verso la facciata della chiesa parrocchiale di San Michele, si resta subito colpiti dalla gigantesca figura di San Cristoforo, rassicurante protettore di pellegrini, viaggiatori ed escursionisti. Ma è la maestosa, coloratissima scena del Giudizio universale a richiamare subito dopo l’attenzione. Il portone della chiesa separa il Giudizio in tre scene principali: in alto è il Cielo (con la visione del giudizio e del Paradiso), a sinistra è la Terra (con la risurrezione dei morti), a destra è l’Abisso sotterraneo dell’Inferno.


Vanno subito segnalati gli eventi atmosferici che si manifestano in cielo: il sole e la luna si spengono a segnalare la fine del tempo; un magnifico arcobaleno appare in cielo, sorretto dagli angioletti, a simboleggiare la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo; il cielo è cosparso di nuvole a cumulo che forniscono appoggio alla numerosa popolazione del Paradiso.

Gesù Cristo appare in cielo circondato da un alone luminoso e siede sull’arco iridato a significare che è grazie a lui e al suo sacrificio che la nuova alleanza è stata stabilita; lo confermano le piaghe sulle sue mani, sui piedi e sul costato e gli strumenti della sua passione esibiti dagli angeli: la croce, i chiodi, la canna con la spugna imbevuta d’aceto, la colonna della flagellazione, la frusta e la lancia. Il giudice veste un’ampia tunica mantello bianca, ha un nimbo dorato sul capo e regge con la mano lo scettro di re dell’universo: pronuncia il giudizio universale sollevando la mano destra. A temperare la sua ira si mostrano gli intercessori: la madre Maria, che lo avvicina con un gesto accorato di invocazione e, più distante, Giovanni Battista con la tunica di peli di cammello e il mantello rosso, colore del martirio. Ai due lati del giudice si schiera la corte celeste dei santi e dei beati. La corte è preceduta dagli apostoli. A sinistra vediamo San Pietro con le chiavi, San Giacomo maggiore con il bordone e l’abito da pellegrino, San Matteo (o San Tommaso) con la lancia del martirio. A destra San Paolo con la spada e le lettere e San Giovanni con i suoi libri precedono San Simone zelota con la sega e San Giuda Taddeo con il bastone. Compaiono anche vescovi, religiosi, donne con la palma del martirio. Altri beati fanno corone al giudice sulle nubi e nel risvolto dell’oculo.


Sopra l’arco ogivale del portale si staglia la figura dell’arcangelo Michele, che indossa la divisa militare di condottiero dell’armata angelica; egli provvede al giudizio individuale dei risorti, mediante la loro pesatura su una bilancia a doppio piatto; contemporaneamente con la spada sguainata tiene a bada un querulo Lucifero, il demonio suo avversario, che con gli unghioni arcuati reclama a gran voce anime di dannati. Intorno a Michele arcangelo, figura di dedicazione della chiesa, quattro angeli suonano le trombe del giudizio chiamando i morti alla risurrezione. Una delle trombe è una cornetta.


A sinistra del portale il pittore ha dipinto la scena della risurrezione dei morti, colta in più momenti successivi. Si vedono le ossa, i teschi e gli scheletri sollevarsi dalla nuda terra. Una figura mummificata riprende vita aggrappandosi al bordo della tomba. Un ignudo dalla possente anatomia è ancora riverso al suolo e apre gli occhi sugli eventi che sconvolgono il cielo. Risorgono donne procaci e monache velate, uomini giovani e anziani dalla barba bianca, corpi nudi o ancora avvolti nel sudario. Molto originale è la presenza di un bimbo riccioluto che prega a mani giunte; il suo angelo custode lo protegge amorevolmente e lo indirizza verso il cielo. In secondo piano è descritta la scena della separazione dei buoni dai cattivi. Il corteo degli eletti si avvia verso il cielo; le sue avanguardie fanno già capolino tra le nuvole. Il corteo dei dannati si muove in direzione opposta sotto la minaccia di un angelo sterminatore che alza la sua spada fiammeggiante.


A destra del portale è descritto il carnaio dell’Inferno. Ciò che colpisce è l’urlo di terrore dei dannati. Il pittore sembra aver trascritto in immagini i versi danteschi del terzo canto dell’Inferno: «Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira
». Un diavolo afferra con particolare soddisfazione la testa di un frate tonsurato e sbeffeggia Dio con una linguaccia di scherno. Un gruppo di dannati arde tra le fiamme infernali. Una scena di grande violenza vede un drago, una sorta di biblico Leviatano, addentare il volto di un dannato e straziarne un altro con gli artigli delle zampe. Particolarmente efficace è la rappresentazione, tra i fumi infernali, di una serie di cinque volti che esprimono lascivia, depravata voluttà, vizio impudico.


La paternità degli affreschi è attribuita al pittore di Alagna Melchiorre d'Enrico, fratello minore del più noto Tanzio da Varallo. L’opera sarebbe stata realizzata negli anni 1596-97.

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