Itinerario nella provincia di Pisa
Pisa. Il trionfo della morte nel Camposanto
Le tappe dell’itinerario
Il Campo dei Miracoli a Pisa, la Torre pendente, la Cattedrale e il Battistero, fanno da sfondo a una delle ‘cartoline’ italiane più celebri e sono un’immagine arcinota, fotografata da milioni di turisti. Eppure giungervi ancora una volta, in un giorno di sole, sbucandovi all’improvviso da una delle stradine dell’Arcivescovado, dà ancora i brividi, un’emozione fisica e mentale. Dalle viuzze inumidite dall’Arno al tepore solare del ‘campo’, dai colori soft degli edifici urbani al bianco abbagliante delle architetture gotiche, stagliate tra il verde del prato e l’azzurro del cielo, la transizione è entusiasmante.
Poi però cominciano le difficoltà. Gli autobus-tank vomitano a ripetizione battaglioni di turisti-marines d’assalto. I portali d’accesso ai luoghi sacri si trasformano in alveari. Il numero dei visitatori accalcati in coda è strabocchevole. Conviene ripiegare intelligentemente verso un portale che appare meno frequentato, forse per ragioni scaramantiche: è il Camposanto.
In questo Cimitero delle glorie del passato pisano avviciniamo una gigantesca meditazione sulla morte che Buonamico Buffalmacco dipinse a metà del Trecento. Si tratta di una grande allegoria, impropriamente nota come ‘Trionfo della morte’, che è in realtà un Memento mori (Ricordati che devi morire). Il primo dei Novissimi introduce un intero ciclo dipinto che prosegue poi nelle successive immagini del Giudizio finale e dell’Inferno. L’ispirazione moraleggiante è evidente ed è declinata dalla cultura monastica del tempo: chi è troppo legato ai piaceri del mondo e trascura di seguire l’esempio di Cristo, non vede la morte incombente e rischia le pene eterne.
L’affresco è un collage di episodi diversi, una raccolta di figurine impaginate in un album un po’ caotico, un patchwork disorganico ma efficacissimo: l’imago mortis trecentesca si fa qui compendio enciclopedico illustrato.
Gli spensierati gaudenti
La lettura del dipinto può iniziare dalla scena descritta in basso a destra, che ha per protagonisti una brigata di giovani oziosi che suonano e conversano in un lussureggiante giardino. Vi spiccano tutti i simboli di un’invidiabile e prospera vita cortese, come il cagnolino in grembo alla dama, il falcone per la caccia, gli strumenti musicali, gli abiti fashion, la leziosità dei gesti, il corteggiamento. La scena contiene un implicito rimprovero e un insegnamento moraleggiante che riecheggia l’invettiva del profeta Amos: «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Voi credete di ritardare il giorno fatale e invece affrettate il regno della violenza. Distesi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei dissoluti» (Amos 6, 1-7). Sulla brigata di spensierati volteggiano due Geni che rovesciano le fiaccole accese, sinistro presagio di morte.
L’incontro dei tre vivi con i tre morti
La vignetta successiva della strip di Buffalmacco vede l’allegra brigata dei giovani che si è messa in moto per una battuta di caccia a cavallo. I tre rampolli della nobiltà locale sono accompagnati dalle loro dame e da un largo seguito di paggi, stallieri, falconieri e cani. E qui accade un imprevisto. Il sentiero è interrotto da tre cadaveri giacenti in altrettante bare di legno accostate e scoperchiate. Ciambellano dell’incontro tra i vivi e i morti è il monaco Macario, sceso dal colle per ammonire “gli spensierati di Sion” sulla brevità della vita umana, sulla repentina transizione dalla vita alla morte, sull’orgoglio insipiente dei mortali. San Macario era un solitario della Tebaide, originario di Alessandria, esemplare rappresentante del movimento monastico egiziano del quarto secolo. Il suo monito è scritto nel fumetto: “Se vostra mente fia ben accorta / tenendo fisa qui la vista attenta / la vanagloria ci sarà sconfitta / la superbia, come vedete morta / v’accorgereste ancor di questa sorta / se osserverete la legge che v’è scritta”. Il monaco Macario invita i cavalieri a tener fisa la vista attenta su tre bare aperte, nelle quali giacciono tre re, incarnazione dell’orgoglio, della superbia e della vanagloria. Il primo re, morto di recente, è gonfio di gas. Il secondo è in via di dissoluzione. Il terzo è ormai ridotto a scheletro. Sui cadaveri strisciano viscidi rettili e insetti immondi. Horresco referens sembra dire l’inorridita dama sul cavallo bianco, con un cagnolino accucciato nella mano, che si preme il petto contenendo l’emozione. Al cavaliere che indica lo sfacelo della decomposizione, il collega risponde naturalisticamente turandosi il naso per contrastare il penetrante fetore della putrefazione. Macario invece esibisce naturalezza, maturata in notturne meditazioni e richiama a una vita di penitenza quei personaggi nobilissimi, la carovana di cavalieri, dame e servi.
Il trionfo della morte
Ed eccola la morte. Una strega grifagna, con i lunghi capelli bianchi e sciolti, con una maglia ferrata che la rende invulnerabile, con ali da pipistrello e unghie a mo’ di artigli. Volteggia in cielo e scende in picchiata come un falco per recidere vite con la sua falce da fieno. Sotto di lei c’è un tappeto di cadaveri che esibisce i colori dei tessuti dei ricchi e dei poveri, degli stolti e dei sapienti, dei buoni e dei cattivi. La scarsella delle monete, i libri voluminosi, il saio o la mitria non assicurano alcuna salvezza. Il suono dei flauti nel vicino verziere contrasta con il silenzio immoto della morte.
La disperazione dei mendichi
Di fronte al cimitero planetario si staglia l’oscenità di un gruppo di pezzenti, di mutilati e storpi, di inabili rifiuti della storia, dal volto duro che ignora la pietà. La morte appare loro preferibile alla sofferenza: “da che prosperitade ci ha lasciati, o Morte, medicina d’ogni pena, deh vienne a dare ormai l’ultima cena”. Ma per un paradosso la morte, pur desiderata, non viene e volge altrove il suo sguardo grifagno.
La battaglia tra angeli e diavoli
Negli anfratti di questa Rupe Tarpea alla rovescia è l’inferno flamboyant. Gli angeli e i diavoli planano sul campo di morte e raccolgono dalle bocche dei trapassati le animulae che i corpi esalano insieme con l’ultimo respiro. Le anime diventano oggetto del contendere: angeli e diavoli se le contendono in duelli stellari, combattendo in cielo aeree battaglie tra il bene e il male.
Gli eremiti
L’ideale proposto agli ‘spensierati di Sion’ è una Tebaide rocciosa, un’utopia pacificata, dove gli uomini sono dediti a Dio e convivono con gli animali e la natura. La vediamo descritta in concrete scene di economia domestica e di vita eremitica. Un anacoreta prega sui testi sacri, aperti sulle ginocchia, davanti alla cappella cenobitica. Un secondo anacoreta munge dalla capra la razione quotidiana di proteine. Il terzo avanza, pesantemente appoggiato ai bastoni della sua vecchiaia.
Il cartiglio esposto dai due Geni alati riporta la lezione che deve trarsi dalla visione dell’insieme: «Schermo di sapere e di ricchezza / di nobiltade e ancora di prodezza / val neente a’ colpi di costei. / Et ancor non si trova contro lei / o lettere veruno argomento. / E non avere l’intelletto spento / di stare sempre sì apparecchiato, / che non ti giunga in peccato mortale».
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