Itinerario nella provincia di Pisa
Pisa. L’Inferno del Camposanto
Le tappe dell’itinerario
Gli affreschi del Camposanto di Pisa segnano una rottura nella tradizione iconografica dell’aldilà e scandiscono l’autonomia dei loca poenarum. L’Inferno comincia a essere descritto separatamente dagli altri Novissimi. Buffalmacco ce ne offre uno spaccato dall’architettura perfetta, come quei terrari, quei formicai o quegli alveari che per le finalità didattiche dei musei naturalistici sono tagliati a metà per consentire agli spettatori curiosi davanti alle vetrine di dare un’occhiata alla brulicante vita sotterranea. L’architettura infernale è fatta di cubicula, di loculi di catacomba, organizzati come dependences della grande caverna di Lucifero. Il gran pascià dell’Inferno sgranocchia con le sue tre bocche i traditori; grazie ai suoi cento occhi seleziona accuratamente i grandi dannati, li afferra e li stritola tra le mani, li ingoia e li defeca. Quel volto rovesciato che appare nel ventre animalesco di Lucifero prima di essere risucchiato negli immondi condotti intestinali, ha un’espressione che vale da sola a sconsigliare ogni ‘vita pericolosa’. E quel corpo di superbo, impiccato all’estremo muscolo rettale luciferino, è al tempo stesso ‘segno’ e ‘parodia’ della ‘(ri)nascita’ non cercata in vita.
Lucifero punisce i superbi. Quelli che in vita si posero al di sopra degli altri hanno qui la punizione che meritano, la più ributtante: protagonisti di una perpetua subroutine bocca-ventre-ano, a cura del più famoso tra i superbi, quel Lucifero, principe degli angeli ribelli, che per orgoglio e vanagloria osò insubordinarsi a Dio e finì gerente dell’Inferno.
In basso a destra i lussuriosi: un sodomita - impalato a uno spiedo - guarda tristemente negli occhi il suo amante; tra vizi e perversioni, il mesto corteo dei sensuali incatenati è guidato da vecchi lascivi e demoni verderame.
In basso a sinistra è punita l’avarizia. L’ingordigia del denaro in vita si traduce in colate di oro fuso in gola e in oscene comunioni a base di monete roventi offerte a mo’ di particole con una tenaglia da un demone ministrante.
Sopra gli avari ecco gli iracondi che sfogano con morsi su di sé e sugli altri i loro eccessi: morsi velenosi e sanguinosi sono loro ricambiati da un gran numero di aspidi, crotali, cobra e serpenti velenosi.
A destra è la scena dei golosi. Una tavola tonda e imbandita di leccornie: i dannati sbavano ammanettati e trattenuti da sadici satanassi.
Sopra i golosi ecco gli invidiosi bolliti nel calderone; i diavoli infilzano e ributtano giù chi sale in superficie a cercare una boccata d’aria.
A sinistra gli accidiosi, inerti sotto gli stimoli dei diavoli: il più divertente è quell’ignavo costretto a far da cavallo a un demone che con la coda gli punzecchia il sedere.
I sette peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia) sono tutti presenti e adeguatamente puniti. È interessante notare che negli inferni medievali il ciclo ‘settenario’ (dei sette peccati capitali) è preferito al ciclo del ‘decalogo’ (dei dieci comandamenti) che pure avrebbe maggiore rilevanza biblica e teologica.
Ma non dimentichiamo i peccatori ‘di prima fascia’, quelli raffigurati su in alto: sono i nemici della Chiesa. Ario e gli eretici - che divisero i fedeli e smembrarono la chiesa corpo di Cristo – sono squartati da un demone macellaio; i pezzi sezionati sono divorati da un diavolo indimenticabile per bruttezza. Maometto, l’Antipapa e l’Anticristo sono sventrati, scorticati, decapitati e gettati in pasto al Leviatano. Gli indovini sono accecati dai serpenti. I simoniaci sono orribilmente impiccati. È il trionfo del supplizio, del corpo torturato. La pena replica il delitto, secondo la legge del contrappasso. Un inferno di pene sadiche, sia psicologiche che fisiche, procurate con strumenti e tecniche comuni nelle macellerie e nelle sale di tortura di un Medioevo oggi non sempre dimenticato.
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