Itinerario nella provincia di Parma

Fidenza. Pellegrini verso l’aldilà

Le tappe dell’itinerario

Fidenza è l’antica Fidentia Julia romana, ma nel Medioevo è nota come il Borgo di San Donnino, in onore del santo martire locale. Acquista poi notorietà internazionale quando diventa uno snodo cruciale delle vie di pellegrinaggio che dall’Europa conducono a Roma. Borgo San Donnino è, infatti, situato sulla Via Emilia, a un’importante biforcazione: da un lato c’è il fascio delle vie Romee che scendono a Roma sul versante adriatico, traversando l’Appennino e percorrendo la valle del Tevere o le colline adriatiche; dall’altro c’è il fascio delle vie Francigene del monte Bardone che traversano l’Appennino alla Cisa e scendono a Roma attraverso la Toscana e la Tuscia. Il piccolo popolo dei borghigiani di San Donnino riesce a edificare una grande e straordinaria cattedrale romanica che si avvale dell’opera del Lanfranco (che ha progettato il duomo di Modena) e di Benedetto Antelami (che ha realizzato opere insigni nel Duomo e nel Battistero di Parma). La facciata del duomo di Fidenza viene decorata di bassorilievi e statue che raccontano ai fidentini la storia dell’incarnazione di Gesù e il ruolo della chiesa locale di San Donnino chiamata a vivere oggi il messaggio cristiano in una prospettiva escatologica, aperta alla fine dei tempi e al destino di salvezza o di dannazione. La facciata della cattedrale vuole lanciare però un messaggio preciso anche a un’altra categoria di persone: vuole parlare a tutti quei pellegrini che fanno tappa a Fidenza, che sostano nelle strutture di ospitalità del borgo e che visitano il duomo.


Il pellegrinaggio verso l’aldilà


I pellegrini sono ritratti più volte nelle sculture della facciata. Ne vediamo un gruppo in cammino verso Roma, abbigliati nel classico abito della viandanza, scortati dai cavalieri armati, con le salmerie al seguito. Vediamo descritti i pericoli del viaggio, l’incontro con le bestie feroci, i litigi e conflitti tra pellegrini, la violenza sulle donne. Vediamo i tre Magi a cavallo diretti a Betlemme, personaggi simbolici e metafora del pellegrinaggio. Vediamo infine due gruppi di pellegrini, il primo di nobili origini e il secondo di misere condizioni, che sono invitati a entrare in chiesa da un angelo-guida che ha in mano il bordone. Queste immagini scolpite consentono ai pellegrini reali di riconoscersi, di specchiarsi, di meditare sul significato del cammino. Ma essi ricevono anche un messaggio esplicito. Al vertice dell’arco del protiro centrale è scolpito il Cristo in gloria, nella parusia della sua seconda venuta sulla terra, seduto sull’arcobaleno della nuova alleanza, che allarga le braccia nel gesto dell’accoglienza verso i pellegrini e mostra loro la legge antica (i dieci comandamenti) e la legge nuova (le beatitudini) invitandoli a viverle. Gli animali simbolici che ornano i portali laterali descrivono i vizi capitali (dai quali guardarsi) e le opere di carità (da praticare). Verrà infatti il giorno della risurrezione finale e dell’ascesa di fronte al giudice: ne sono simboli l’immagine del carro di Elia, di Enoc, dell’ascensione di Alessandro Magno. E ci sarà l’esito del giudizio finale con la retribuzione del bene e del male compiuto: i buoni saranno accolti nel grembo di Abramo e i cattivi, come Giobbe, saranno torturati dal diavolo. Le due immagini contrapposte sovrastano le colonne del protiro centrale.


La sconfitta degli angeli ribelli


Entrando in cattedrale dal portale di destra, il pellegrino osserva nella lunetta l’arcangelo Michele con la croce in mano che trafigge un drago cinocefalo, con le ali d’uccello e il corpo di rettile squamoso, figura del male. Combattuto tra il bene e il vizio, ma benedetto dalla mano divina, il pellegrino entra nella navata centrale e resta subito attratto dal rilievo scolpito sul capitello del primo pilastro. Vi è rappresentata una più ampia replica della scena in lunetta: la selvaggia battaglia tra gli angeli rimasti fedeli a Dio e i seguaci di Lucifero che si sono ribellati per superbia. L’episodio è narrato nell’Apocalisse «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: "Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue dell'Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro vita fino a morire» (Ap 12, 7-11). Il rilievo mostra il Cristo parusiaco seduto in trono nella mandorla che ha in mano un cartiglio con la scritta: feci iudicium et iustitiam (ho fatto giudizio e giustizia). Sotto di lui gli angeli fedeli infilzano con le loro lance i ribelli e li spingono verso l’inferno; i superbi, sconfitti, perdono le fattezze angeliche e acquistano le sembianze diaboliche. Il soggetto è una chiara metafora del giudizio finale. Il pellegrino che segue il suo personale cammino di conversione e penitenza, medita il versetto apocalittico: «Esultate, dunque, o cieli e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è disceso sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo" (Ap 12, 12).


Il giudizio finale e Francesco d’Assisi


Giunto nella zona del presbiterio, al termine della navata centrale, il pellegrino scorge nell’abside un affresco del secolo tredicesimo che mostra la scena del giudizio finale. Nel pannello centrale vede il Cristo giudice assiso sul trono, all’interno di una mandorla iridescente, che esibisce le piaghe delle mani, dei piedi e del costato; intorno a lui si librano quattro angeli che portano sulle mani velate i simboli della Passione (si riconosce la croce con la corona di spine). Due angeli si lanciano in volo verso la terra suonando la tromba del giudizio; sotto di loro i sepolcri si scoperchiano e i defunti ne escono nudi. L’angelo con la spada sguainata si occuperà della punizione dei dannati. Il pellegrino medita così sul suo destino ultimo, sulla speranza di salvarsi di fronte al giudizio di Dio, e sul rischio di un’eterna dannazione. Ma inaspettatamente, nello stesso affresco, scorge un aiuto potente, un santo che intercede per lui presso il giudice. Si tratta di San Francesco, ritratto nel pannello di sinistra, che sostò a Borgo San Donnino nel 1215 e vi operò un miracolo. Francesco è il santo pellegrino per eccellenza, eterno viaggiatore sui sentieri dell’Umbria e sulle strade del mondo: il pellegrino che si reca in Terrasanta e dal sultano dell’Egitto, il pellegrino che scende a Roma dal Papa e sulle tombe degli apostoli, il pellegrino che percorre il cammino di Santiago. E l’anonimo pellegrino francigeno, con l’animo rinfrancato e con la speranza in cuore, può riprendere il suo cammino.

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