Itinerario nella provincia di Palermo
Palermo. La morte trionfa a Palazzo Abatellis
Le tappe dell’itinerario
La Galleria regionale siciliana di Palazzo Abatellis a Palermo propone ai suoi visitatori, come pezzo forte delle proprie collezioni, un grande affresco del Trionfo della morte, proveniente da Palazzo Sclafani. La scena descritta dall’ignoto pittore ha molti elementi in comune con le opere analoghe localizzate in Italia, dal Camposanto di Pisa all’Oratorio di Clusone, dalla Scala Santa di Subiaco a Santa Caterina di Bolzano. Queste scene trecentesche del trionfo della morte sono da incubo, perché richiamano l’idea biblica dell’angelo sterminatore e ricordano lo sterminio di massa causato dalle ricorrenti epidemie e dalla grande peste nera che distrusse l’Europa.
La rappresentazione tardiva (intorno al 1445) della Morte a cavallo di Palermo ha però un carattere diverso. Essa risente nettamente dell’evoluzione della sensibilità operatasi dopo l’inizio del Quattrocento. In quest’affresco la trionfatrice appare come la protagonista centrale di uno spettacolo teatrale in costume, la regista di un complesso cerimoniale di malinconia e mestizia, la metafora della biblica vanitas vanitatum, l’anticipazione di un ‘trionfo’ petrarchesco. Secondo Alberto Tenenti (nel suo Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento) sembra quasi che la morte alzi la mano destra come per rispondere all’omaggio e al fremito della folla e poco si preoccupi, almeno in quell’istante, del proprio ministero.
Osserviamo in dettaglio l’affresco. Lo scheletro della morte, in sella a un cavallo mummificato al galoppo, attraversa un giardino recinto da siepi e scaglia con l’arco i suoi dardi, prelevati dalla faretra, legata alla cintura insieme con la falce. Le frecce vanno a colpire nobili fanciulle e giovani spensierati: questi personaggi sono colti nell’attimo della vita fuggente. Gli zoccoli del cavallo calpestano un tappeto di cadaveri; la morte si è particolarmente accanita sui potenti: i dardi letali hanno ucciso un papa col triregno, due sovrani con la corona, un cardinale con la berretta, un vescovo con la tiara, un diacono con la dalmatica, un religioso con la tonsura, un giureconsulto con il turbante. Quelli che invece invocano la morte a gran voce e la scongiurano a mani giunte di liberarli dalle proprie pene intollerabili, sono paradossalmente risparmiati: è il caso del gruppo ritratto in basso a sinistra nel quale sono raffigurati invalidi, zoppi con le stampelle, anziani, un uomo che mostra i moncherini delle mani. Nei due distinti personaggi che, nel gruppo dei cenciosi, guardano verso lo spettatore, sono forse riconoscibili il pittore e il suo aiutante.
In secondo piano il pittore descrive una scena di caccia, uno degli svaghi più amati dall'aristocrazia, simboleggiata dal falconiere che tiene un falcone sul braccio e dal cacciatore che regge al guinzaglio un levriero e un altro cane da caccia (in questa scena c’è forse un richiamo al personaggio mitologico di Proserpina e al cane trifauce Cerbero, guardiani dell’inferno). Sulla destra c’è una fontana, circondata da giovani in conversazione, allietati da un suonatore d’arpa. Essa sembra alludere alla fontana della giovinezza, la sorgente d’acqua che guarisce dalle malattie e dona l’eterna giovinezza a chi vi si bagna. Si tratta di un motivo tipicamente rinascimentale (si pensi solo all’affresco del castello di Manta), che in questo contesto si collega al tema generale dell’affresco e cioè al contrasto tra la vanità dei beni terreni, la tentazione dell’immortalità, le gioie effimere della terra e la prefigurazione didascalica della sorte umana.
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