Itinerario nella provincia di Arezzo
Lucignano. Il trionfo della morte
Le tappe dell’itinerario
Il borgo fortificato di Lucignano in Val di Chiana, con la sua caratteristica forma ellittica e le strade anulari concentriche, è uno dei più interessanti esempi di urbanistica medievale toscana. Tra gli altri monumenti civili e religiosi si segnala la chiesa di San Francesco, che conserva ancora parte degli affreschi attribuiti a Taddeo di Bartolo (raffiguranti frammenti delle storie di S. Francesco), a Bartolo di Fredi e ad altri artisti senesi del Trecento e del Quattrocento. Sopra il primo altare, nella parete destra della navata, spicca un affresco della seconda metà del Trecento, di particolare fascino e suggestione, che raffigura il Trionfo della morte. La scena richiama altre classiche immagini fiorentine (Orcagna) e pisane (Buffalmacco), ma presenta anche qualche singolarità.
Al centro campeggia la Morte, sul suo cavallo nero lanciato al galoppo, in un erboso paesaggio ondulato, con qualche albero. La Morte è una vecchia signora ossuta, col volto scavato, i fluenti capelli bianchi al vento e lunghe unghie ad artiglio. Dalla cintura bianca che lega alla vita la sua tunica nera, pende una falce affilata. La vecchia sta per scoccare una freccia e proclama a gran voce le sue volontà: io non bramo se non di spegner vita / e chi mi chiama le più volte schivo / giungendo spesso a chi mi torce il grifo.
La falce fienaia ha mietuto le sue vittime e ha fatto strage di umani senza distinzioni o preferenze. Il tappeto dei cadaveri falciati dalla nera signora accomuna laici e religiosi e tra questi francescani col saio e domenicani tonsurati. La freccia mortale è diretta contro una coppia di giovin signori, di nobile aspetto e ricco abbigliamento, impegnati in una battuta di caccia: il primo ha un arco e il secondo ha tolto il cappuccio al falcone che gli artiglia il guanto. I due conversano spensieratamente della loro prosperità: Quant’è dolcie mondo a chi s’apagasse - confessa il primo, e il secondo conferma sospirando Tu dì ben vero se prosperità durasse. Paradossalmente la morte non tocca invece il gruppo di pezzenti, storpi e invalidi che pure la invoca a gran voce per porre finalmente fine alle proprie sofferenze: poi che prosperità ci ha lasciati, o Morte medicina d’ogni pena, vienci a dare ormai l’ultima cena.
Un particolare irrituale è la figura di Gesù che appare in cielo e spiega che nessuno può sottrarsi al destino della morte. Neanche lui ha potuto evitare la sua fine mortale, pur se con la sua risurrezione ha poi segnato la vittoria finale sulla morte: O tu che leggi pon cura ai colpi di costei ch’ocise me che so Signor di Lei.
L’altro particolare che distingue questo affresco di Lucignano dagli altri simili, è l’albero che il pittore ha collocato sulla destra del dipinto. L’albero reca un cartiglio inchiodato e un’ascia conficcata alla sua base. Si tratta con molta probabilità di una citazione del Vangelo di Luca che esprime e sintetizza l’intenzione morale e il significato complessivo dell’affresco: Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: "Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: "Abbiamo Abramo per padre!". Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco" (Luca 3, 7-9). La presenza di due roditori alla base dell’albero potrebbe anche essere una citazione del fortunato romanzo medievale di Barlaam e Josafat.
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