Itinerario nella provincia di Cremona
Cremona. Apoteosi e incubo al Museo civico
Le tappe dell’itinerario
Magari non sarà un capolavoro. E non v’è neanche certezza su quale pittore cremonese ne sia l’autore. Ma questa tela seicentesca del Giudizio universale esposta al Museo civico Ala Ponzone di Cremona si fa ricordare come un’eccezionale stimolatrice di curiosità, un panoramico volo d’uccello sullo straordinario affollamento dei luoghi dell’aldilà, lo spaccato di un formicaio ultraterreno da osservare con la lente dell’entomologo, un verminaio di mostruosità diaboliche, un paziente esercizio di who’s who della santità.
La geografia dei luoghi è articolata su tre livelli: il cielo, la terra e l’underworld. Questi tre luoghi comunicano tra loro in vario modo, grazie a cavità, varchi e creature vettoriali. Vi sono descritti fenomeni fisici e atmosferici complessi: dalla luce più incandescente al buio completo, addensamenti nuvolosi, spettri iridati, correnti ascensionali e discendenti, un planetario, estesi campi flegrei, vulcanismo.
Il primo zoom si concentra sul Cielo e sui personaggi che stazionano al di sopra delle nuvole. Sullo sfondo è la struttura concentrica dei sette cieli. La luce solare dell’empireo investe la fascia nuvolosa e crea l’arcobaleno. Sull’arco iridato scende a sedersi Gesù. È la sua seconda venuta sulla terra. Viene a pronunciarvi il giudizio finale sull’umanità. La sfera terrestre gli fa da suppedaneo, a simbolizzare la signoria divina sul creato. L’ampia fascia di rispetto intorno alla sua figura è violata solo da Maria, sua madre, in ginocchio ai suoi piedi, che impetra la misericordia giudiziale del figlio. Poco lontano è il secondo intercessore, Giovanni il Battista il precursore, col mantello rosso simbolo del martirio e la tunica eremitica di pelle di cammello. Fa da corona al giudice una sorta d’avanguardia della moltitudine dei cori celesti. Sono gli angeli che mostrano al pubblico planetario gli strumenti della passione di Gesù (la croce, la corona di spine, la lancia, la canna con la spugna, la scala, la colonna, i flagelli), a significare che il suo estremo sacrificio ha portato la salvezza agli uomini. Sotto il giudice è insediato il tribunale celeste formato dagli apostoli; ciascuno di loro è riconoscibile dal suo tradizionale attributo: la croce di Andrea, il bastone da pellegrino di Giacomo, la spada di Paolo, l’alabarda di Mattia, il bastone di Giuda Taddeo. Tutt’intorno si distende concentricamente il Paradiso dei santi. Le nuvole offrono nicchie e spalti, sui quali si affollano i beati. I patriarchi biblici sono rappresentati da Mosè (a sinistra, con le tavole della legge in mano e i corni di luce sul capo) e dai progenitori Adamo, Eva e il piccolo Abele (a destra, dietro il Battista, con la cintura di foglie di fico). I rami di palma identificano lo stuolo dei martiri: si riconosce la figura di Lorenzo, con la graticola. Di rilievo è la presenza dei santi fondatori di Ordini religiosi: a sinistra si concentrano Benedetto e la sorella Scolastica, Domenico di Guzman, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, Francesco d’Assisi. Due popolari santi sono in particolare evidenza: dietro Francesco vediamo Luigi IX, che ha deposto la corona di re di Francia e indossa l’abito da penitente con la cenere sul capo; a destra vediamo Chiara da Montefalco con l’abito da monaca agostiniana, il giglio e la bilancia nelle mani.
Cambiamo ora scenario e dal cielo scendiamo sulla terra. Gli angeli squillano le trombe, offrono palme e corone di fiori e stendono un lungo cartiglio che annuncia una giustizia retributiva meritocratica, basata su ricompense legate ai comportamenti più o meno virtuosi (diversa meritorum stipendia). Al suono delle buccine, come d’incanto, si risvegliano i morti, si aprono le tombe, gli scheletri si rianimano, splendidi corpi nudi si sollevano. Nell’immensa e luminosa valle di Giosafat, i morti risorti si raccolgono in un lungo corteo. Guidati da angeli luminosi i beati levitano da terra e ascendono progressivamente verso il cielo. Sul fronte opposto vediamo la caduta dei dannati. Angeli sterminatori brandiscono minacciosamente spade fiammeggianti e scacciano i dannati dentro un geyser di fuoco che rifluisce nelle cavità infernali. Sul margine sinistro è situato il Purgatorio. La sua è una posizione geografica simbolica: le fiamme sono quelle sotterranee dell’Inferno ma il tetto è aperto verso l’alto, a sottolinearne il carattere di pena temporanea, la finalità della purificazione, la speranza della gioia futura. I volti dei purganti non esprimono disperazione; pur nella sofferenza c’è preghiera, speranza, attesa fiduciosa. E la fine della pena arriva con l’atterraggio misericordioso di due angeli, inviati dall’alto a liberare chi ha espiato la pena e a portarlo in cielo.
Scendiamo ora sotto la crosta terrestre, nell’Inferno sotterraneo, dove sono allestiti i campi di sterminio dei dannati. Le scene che vediamo sono un continuo pugno nello stomaco. L’incubo prende la forma dei mostri: il mostruoso mascherone dalla bocca aperta e dagli occhi ruotanti, sorta di Bocca alla Verità alla rovescia; la bocca irta di denti e la gola spalancata del Leviatano ingoiatore; l’immensa testa di anaconda che sbuca dalla melma e risucchia un dannato; il ghigno cattivo del tirannosauro; il drago cornuto volante che sputa fiamme e fetore; la gigantesca tarantola avvelenatrice che scende silenziosa dall’alto. Ai mostri si accompagna la manovalanza dei diavoli: l’indimenticabile demone dagli occhi incandescenti che suona un corno assordante che erutta fuoco, parodia dell’angelo tubicino; la diavolessa, megera dalle orbite cave e priva di denti, orrida Arpia dai seni flaccidi e dalle lunghe unghie rapaci; i demoni cinocefali che latrano la loro rabbia azzannatrice; i demoni cornuti, dalle ali da chirottero e dal becco ricurvo, teratologici, prognatici, deformi, vampireschi. E poi le pene del contrappasso, le esecuzioni, una rassegna di strumenti di tortura e di forme di accanimento penale: le catene, le mazze chiodate, i lanciafiamme, i serpenti velenosi, l’impalamento, l’evirazione, la ruota dentata che scarnifica i corpi, il forcone che spappola l’occhio, l’eviscerazione addominale, i corpi lessati nell’immenso pentolone sul fuoco. E infine loro, i dannati. Catatonici, smarriti, spaventati, inerti, annichiliti, umiliati. Molti indossano i simboli del loro vizio capitale: la corona regale dell’orgoglio e della superbia, i gioielli della vanità e della lussuria, il turbante dello scisma e della persecuzione. Non hanno avuto pietà in vita, ora fanno veramente pietà.
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