Itinerario in Molise

Il supplizio d’Issìone nel Museo d’Isernia

Le tappe dell’itinerario

La città molisana di Isernia ha destinato un vecchio convento benedettino dell’anno Mille ad accogliere le collezioni del Museo nazionale di Santa Maria delle Monache. Il museo racconta oggi i fasti dell’Aesernia romana attraverso una raccolta di sculture in pietra, fregi, statue onorarie e funerarie. Chi si aggira nelle sue sale viene attratto da un curioso frammento di pietra rinvenuto in località Quadrella con un singolare rilievo scolpito che richiama a prima vista l’immagine geometrica dell’uomo di Vitruvio. Ma si tratta in realtà di una rara immagine del supplizio di Issìone, un riprovevole e recidivo protagonista della mitologia greca. Issìone, nudo, a gambe divaricate, con le braccia alzate, il viso barbuto e la muscolatura in evidenza, è legato con serpentelli ai raggi di una grande ruota. Nella mitologia greca Issìone era il figlio di Flegias, re dei Lapiti. Sposò Dia, figlia di Deioneo. Ma quando si trattò di onorare il patto con il suocero e di consegnarli i doni promessi per le nozze, preferì liberarsi di Deioneo uccidendolo in modo particolarmente perverso e crudele. Eppure Zeus gli offrì la sua clemenza e lo accolse sull’Olimpo alla mensa degli dei. Ma l’ingrato e incorreggibile Issìone ricambiò a suo modo il paterno perdono tentando addirittura d’insidiarne la moglie Hera. A quel punto Zeus lo giocò architettando un inganno e sostituì la moglie Hera con una nuvola che ne assunse le sembianze e che si offrì a Issìone e alle sue avances da ubriaco. Il sacrilego fu prontamente scoperto e transitò rapidamente dalla mollezza dell’amplesso alle feroci torture di Ermes. Flagellato con un fascio di serpenti, finì poi legato con le stesse serpi ai raggi di una ruota infuocata. Il frisbee umano fu poi lanciato nello spazio siderale per terminare malinconicamente il suo viaggio nel fondo del Tartaro.

La storia dell’ingrato Issìone ci apre così uno squarcio sulla visione dell’Oltretomba nel mondo classico. L’Isola dei Beati, regno di Crono, è la progenitrice dei Campi Elisi e del Paradiso cristiano. Su quest’isola «spirano dall’Oceano soffi, e d’oro fiammeggiano i fiori, quali in terra dagli alberi fulgidi e quali nutre l’acqua, e di monili ne intrecciano le mani, e corone» (Pindaro, Olimpica). Verso l’Isola dei Beati sono traghettate le anime dei giusti e degli eroi rimasti immuni dall’iniquità. Agli antipodi del regno dei beati è collocato il Tartaro, l’antenato dell’Inferno cristiano, un’immensa e profonda voragine dove precipitano le anime dei mortali malvagi. Questo abisso orrido, immenso accoglierà così i mostruosi Titani, i Giganti, Tifone, Echidna, Tantalo, Sisifo e le Danaidi, oltre, naturalmente, a Issìone.

I supplizi infernali hanno un solo momento di sospensione, quando Orfeo scenderà nell’Oltretomba - «un sentiero in pendio per gli squallidi silenzi, erto, buio, avvolto di una caligine scura» - per chiedere la liberazione della giovane sposa Euridice che è stata uccisa da un serpente. Il canto d’amore di Orfeo, accompagnato dal suono della lira, commuove le Eumenidi e i sovrani degli abissi Persefone e Plutone. Lo struggente lamento di Orfeo  sospende la tragica vita infernale: «le pallide ombre piangevano per lui; Tantalo non cercava più di abboccare l’acqua che si ritraeva da lui; s’incantò la ruota d’Issione, gli avvoltoi smisero di rodere il fegato di Tizio, le Danaidi si liberarono delle urne, e tu, Sisifo, ti posasti sul tuo macigno» (Ovidio, Metamorfosi).

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