Itinerario nella provincia di Novara
Momo. L’Aldilà della famiglia Cagnola
Le tappe dell’itinerario
La chiesa della Santissima Trinità si trova a nord di Momo, lungo l’importante strada per il lago d’Orta e l’Ossola. L’esistenza di una pista pedonale e ciclabile di tipo protetto consente di rinnovare l’emozione di percorrere la via Francigena, l’antica strada di pellegrinaggio dei romei. In epoca medievale, infatti, la chiesa era una semplice cappella per la sosta e il ristoro dei viandanti, funzioni che peraltro assolve ancora oggi. Nei secoli la cappella fu poi ingrandita, ristrutturata, dotata di un campanile e di un portico esterno, ampliata con una cascina e una struttura residenziale. Merita dunque una sosta per studiarne l’architettura e per ammirare il magnifico ciclo di dipinti di cui furono autori, tra il 1520 e il 1538, Tommaso Cagnola, i suoi due figli Francesco e Sperindio e la loro bottega.
Il lungo racconto per immagini inizia nell'abside, dove è affrescata la Trinità nella mandorla, con gli Angeli, gli Apostoli e le Opere di misericordia. Lungo le pareti, su tre registri e in 37 riquadri, sono narrate le storie dell'infanzia e della passione di Gesù. La catechesi illustrata non trascura le origini, della storia della salvezza, con le immagini del Peccato originale e dell’Annunciazione, e si conclude con la visione beatifica e tragica del Giudizio universale.
Il Giudizio visto dai Cagnola si allarga alla descrizione di tutta la geografia dell’aldilà. Vi compare naturalmente il Paradiso celeste in opposizione all’Inferno; ma in modo del tutto originale la scena comprende il Purgatorio e ben due immagini dei Limbi, quello degli antichi Padri e quello dei pargoli.
Il ruolo centrale nel giudizio è naturalmente affidato a Gesù: è raffigurato nella mandorla e seduto sull’arcobaleno, simbolo della nuova alleanza con l’umanità; ha barba e lunghi capelli biondi, con un’aureola dorata e cruciforme; indossa un ampio mantello che lascia tuttavia in evidenza la ferita del costato e i fori dei chiodi sulle mani e sui piedi. Il pittore fa esprimere al giudice le sentenze di salvezza e di condanna in forma piuttosto originale. La sentenza favorevole è simboleggiata dal gesto benedicente della mano destra. La sentenza di condanna è invece simboleggiata dalla fiaccola accesa che il giudice allunga alla sua sinistra: quella torcia accesa appicca il fuoco all’inferno e lo trasforma in un lago fiammeggiante dove bruciano i dannati. Il pittore reinterpreta così il fiume di fuoco che nell’iconografia bizantina sgorga ai piedi del giudice e traduce la visione del profeta Daniele (7,10): «Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui».
Sotto la mandorla due angeli, in posizione simmetrica, suonano le lunghe trombe che chiamano i morti al risveglio e contemporaneamente reggono due strumenti della passione di Gesù: la colonna della flagellazione e la lancia di Longino. Ai lati di Gesù figurano gli intercessori, che svolgono la funzione di difensori dell’umanità risorta e giudicata. Il primo intercessore è Maria, la madre di Gesù: nel tentativo di trattenere l’ira del giudice non esita a scoprirsi e a mostrare al figlio il seno che lo ha nutrito, intenerendo Gesù con una delicata immagine della maternità. Dall’altro lato compare invece San Giovanni Battista, vestito di mantello e tunica di peli di cammello, che addita Gesù ai risorgenti ma sembra anche presentare al giudice il sottostante gruppo di beati.
Il Paradiso celeste è raffigurato come un giardino edenico alberato, protetto da un muro di confine. Il luogo di beatitudine è affollato di santi: a sinistra le donne e a destra gli uomini. Tra gli uomini si riconoscono Pietro con le chiavi, San Sebastiano che si strappa la freccia dal petto sanguinante, un vescovo e un nobile affiancati (i committenti locali?), i santi fondatori degli ordini religiosi Benedetto e Francesco. Se l’identificazione dei religiosi è corretta, le due religiose sulla sinistra potrebbero essere Santa Scolastica e Santa Chiara.
Sullo sfondo degli alberi paradisiaci l’arcangelo Michele procede alla pesatura dei risorti e alla proclamazione individuale del destino di condanna o salvazione. L’arcangelo veste una corazza integrale che lascia libera solo la testa. Con la mano destra brandisce una spada sguainata a doppio taglio: essa è simbolo della sentenza ma anche lo strumento per tenere sotto minaccia un intraprendente diavolo cornuto che l’arcangelo schiaccia sotto i piedi. Con la mano sinistra regge una bilancia a doppio piatto sulla quale sono pesate le animulae e le loro opere buone e cattive. In ginocchio, ai piedi dell’arcangelo, un gruppo di procaci risorte e un gruppo di maschietti in brache bianche attendono trepidanti di conoscere il loro destino.
I regni intermedi sono correttamente collocati ai margini del paradiso. Il Limbo dei Padri è descritto come un’ampia caverna sotterranea, lo sheol ebraico, abitata dai credenti dell’antico testamento che non hanno conosciuto, per ragioni temporali, la salvezza cristiana. Sarà lo stesso Gesù, nell’intervallo di tempo tra la sua morte e la sua resurrezione, a scendere negli inferi, a sfondarne la porta e a trarvi i progenitori Adamo ed Eva, i patriarchi biblici, i re, i profeti e tutti i giusti.
Il Purgatorio, cui sono temporaneamente destinati coloro che sono stati giudicati né perfettamente buoni né totalmente cattivi, è raffigurato come un’enorme caldaia. All’interno le anime dei purganti sono temperate dal calore del fuoco e soffrono il tempo più o meno lungo dell’espiazione. Pur nella sofferenza i purganti non appaiono disperati: i loro gesti sono quelli della preghiera rivolta al giudice; i volti esprimono tutta la speranza di una prossima liberazione; le bocche aperte testimoniano a un tempo il bisogno di respirare aria nel caldo soffocante della caldaia e l’invocazione rivolta ad alta voce alla divinità. Al di sotto è una scenetta curiosa e popolaresca: due diavoli seduti attizzano il fuoco sotto la caldaia; il primo lo alimenta aggiungendovi la legna e il secondo ravviva la fiamma con un mantice.
Sul pennacchio di destra dell’arco compare la rara scena del Limbo dei Bimbi. A questo Limbo sono destinati i bambini morti senza battesimo, privi cioè di colpe personali e macchiati dal solo peccato originale. Il Limbus puerorum è collocato dal pittore in una valle paludosa ai piedi di una catena di monti. Il luogo ricorda l’Antinferno di Dante (Vero è che ‘n sulla proda mi trovai / della valle d’abisso dolorosa) e le rive dell’Acheronte descritte da Virgilio nel libro sesto dell’Eneide dove «continuo auditae voces vagitus et ingens infantumque animae flentes in limine primo, quos dulcis vitae exsortis et ab ubere raptos abstulit atra dies et funere mersit acerbo» («si udirono voci improvvise e un forte vagito. Piangevano anime èsili: fanciulli sul limitare della dolce vita privati, che una sorte feroce strappò dal seno materno e in un tetro giorno travolse e chiuse acerba morte nel suolo»). I bambini raffigurati al Limbo non esprimono sofferenza; per loro non c’è una punizione, ma solo la distanza dalla beatitudine. Anzi San Tommaso si domanda se non si tratti solo di un ritardo della loro entrata in Paradiso (dilatio gloriae).
Sotto il Limbo e sulla vicina parete si sviluppa la visione dell’Inferno. Si tratta di una zona in cui la pellicola pittorica è ormai evanescente se non completamente caduta. Restano nitide le due scene della caldaia e della coppia di adulteri. Abbastanza riconoscibile è ancora la punizione dell’avaro costretto a ingoiare oro fuso. Ricorrente è la figurazione dei diavoli che bastonano i dannati: hanno colorazione scura, sputano fuoco dalla bocca e dagli altri orifizi, hanno corna e coda, sono iperfallici e solo in alcuni casi sono dotati di ali membranacee da pipistrello o ridotte alla sola cartilagine.
Visioni dell’aldilà
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