Itinerario nella provincia di Vicenza

Pove del Grappa. Il Giudizio universale di Giovanni De Min

Le tappe dell’itinerario

Pove occupa le pendici del monte Grappa allo sbocco del Brenta nella pianura veneta. Tra le sue risorse si segnala la chiesa parrocchiale di San Vigilio, costruita a cavallo tra Settecento e Ottocento in forme neo-rinascimentali. La volta della navata è decorata da tre affreschi di Giovanni De Min, dipinti negli anni dal 1845 al 1848, che descrivono la creazione dell’uomo, la nascita di Gesù e il giudizio finale. La visione del Giudizio universale si concentra sui due opposti del Cielo e dell’Inferno. Tra queste due polarità il pittore situa le evoluzioni aeree degli angeli, il moto ascendente dei beati e la caduta rovinosa dei dannati.


Al di sopra delle nuvole, in un alone circolare di luce dorata, Gesù pronuncia la sua sentenza sollevando il braccio destro e stringendo a sé la croce del martirio. Il sacrificio salvifico del Figlio di Dio è rimarcato dagli altri strumenti della passione esibiti dagli angeli: la lancia di Longino, il calice, il velo della Veronica, la corona di spine, i chiodi, la canna, la colonna della flagellazione, il fascio delle verghe e il titulus crucis. Intorno a Gesù è raffigurato il tribunale celeste: la madre Maria nel ruolo dell’advocata peccatorum, la corte degli Apostoli con Pietro e Paolo in evidenza, l’arcangelo Michele con la spada sguainata e la bilancia a doppio piatto della psicostasia.


Gli angeli sono i protagonisti della parte centrale dell’affresco, quella intermedia tra il cielo e la terra. C’è l’angelo tubicino che suona la tromba del giudizio per chiamare i morti alla risurrezione universale. Un gruppo di angeli custodi accompagna gli eletti nell’ascensione verso il Paradiso celeste. A destra, sullo sfondo di nembi tempestosi, due angeli in picchiata armati di scudi e spade, terrorizzano la massa dei dannati. La sentenza di condanna pronunciata da Gesù - «Descedite a me, maledicti, in ignem aeternum» - è stampata sullo scudo dell’angelo sterminatore. Un lungo corteo di beati lascia l’Eden paradisiaco e risale i tornanti che conducono al monte santo dove sono attesi dagli angeli.


La parte inferiore dell’affresco descrive la visione dell’Inferno e delle pene inflitte ai peccatori. A dare il benvenuto è un atletico Lucifero, che balza sul bordo della trincea e incita le tribù infere a dare ai dannati l’accoglienza e il trattamento che meritano. Dalla caverna infernale si rovescia sui peccatori una legione di zombies, di morti viventi, di mostri diabolici, di rapaci con il rostro, di mummie, di demoni cinocefali, di fauci irte di denti, di vampiri azzannatori. Rispetto a questa teratologia emergente dalle cloache, la figura umanoide di Lucifero richiama ancora la sua antica ‘bellezza’ angelica, un po’ glamour, pur se guarnita di ali da pipistrello, corna taurine e serpentelli sul capo, con un bidente agitato come uno scettro e un serpente che ne cinge il busto. La punizione dei peccati assume forme di esplicita tortura e di degradazione dei corpi. Un diavolo con quattro corna e il volto da maniaco strapazza la coppia lussuriosa, schiacciando i genitali di lui, mentre la donna è azzannata ai seni da un serpente e da un becco d’avvoltoio. Un demone dal volto leonino e fornito di corna da antilope stritola un gruppo di dannati con la stretta possente delle braccia. Un aspide morde alla bocca un peccatore della lingua. Un altro demonio abbraccia una dannata gratificandola di un bacio repellente. L’avaro è costretto a terra, strangolato dai serpenti: un’aquila gli strazia il fegato con il rostro mente un demone irridente gli strappa trionfalmente il sacchetto di monete dal collo e un pitone gli rapina le pepite d’oro inutilmente protette con la mano. Gli altri inquilini inferi sono i rettili di tutte le specie: vediamo i serpenti morsicatori, le ceraste cornute, le gigantesche iguane, le fauci dentate del caimano. Uno scenario di fantasia morbosa, di zoologia fantastica, di violenza sadica e di terrore disperato.

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