Itinerario nella provincia di Genova
Genova. I beati e i dannati di Santa Caterina di Portoria
Le tappe dell’itinerario
Il Santuario di Santa Caterina di Portoria è lo storico cuore della presenza dei Padri Cappuccini a Genova. I Frati Minori curarono il corpo e lo spirito dei malati del vicino ospedale per oltre quattro secoli e fino alla metà del secolo scorso quando nacque il nuovo ospedale di San Martino. Il convento è oggi sede del Museo storico e dell’Archivio dei Cappuccini liguri. La Chiesa ospita le spoglie di Caterina Fieschi Adorno, la nobile genovese che dedicò la sua vita alla cura dei malati e per questo fu canonizzata e proclamata patrona degli ospedali italiani. Per onorare questa presenza la chiesa dei Cappuccini, intitolata alla Santissima Annunziata di Portoria, le ha aggiunto il nome certamente più conosciuto e popolare di Santuario di Santa Caterina. Appartata e quasi occultata in una piazzetta stretta tra la Via Bartolomeo Bosco e il Viale Quattro Novembre, la chiesa ospita numerose cappelle gentilizie e opere d’arte del Cinquecento genovese. La nostra attenzione si concentra sull’abside dove il grande tema del Giudizio finale viene declinato in un affresco del Cristo giudice e due dipinti laterali dedicati rispettivamente agli eletti e ai reprobi.
La visione della seconda parusia di Gesù fu affrescata nella volta dell’abside da Giovan Battista Castello detto “il Bergamasco” nel 1563. Il Cristo giudice si lascia alle spalle l’empireo sfolgorante di luce, viene a sedersi sulle nuvole del cielo, chiama a braccia aperte l’umanità risorta e pronuncia il giudizio di salvezza e di condanna. Intorno a lui fa cerchio il coro degli angeli. Si tratta in realtà di vispi angioletti che fanno capolino tra le soffici nuvole e si tuffano su di esse quasi per gioco. I più volenterosi volteggiano in cielo ed esibiscono ai risorti gli strumenti della passione di Gesù. Gli strumenti più pesanti, come la croce e la colonna della flagellazione, hanno bisogno del sostegno di più angioletti. Gli altri strumenti offerti alla visione dell’umanità sono i chiodi, la corona di spine, il lino della Veronica, la canna con la spugna, la tunica, la lancia, le fruste, il titolo della croce. Più in basso un gruppo di tre paffuti frugoletti alati fa squillare le trombe della risurrezione universale. Sopra di loro un angelo espone il cartiglio «venite benedicti», l’invito ai salvati a salire in cielo tra i beati.
Le pareti laterali dell’abside mostrano due dipinti di Luca Cambiaso realizzati nel 1568. Il primo descrive la scena della cacciata dei reprobi all’inferno e il secondo è invece dedicato al tema della chiamati degli eletti nel paradiso celeste.
Lo caduta dei dannati occupa la parte centrale del dipinto: in alto il gruppo degli angeli guerrieri spinge i dannati verso l’abisso; in basso un vasto crepaccio segna l’ingresso dell’inferno. La scena della caduta dei dannati presenta tratti comuni con le immagini della cacciata degli angeli ribelli. Mentre i dannati si oppongono ormai invano alle spade dell’armata celeste e si aggrappano disperatamente ai bordi del precipizio, salgono dal basso i diavoli antropomorfi ad abbrancarli e condurli in volo verso l’inferno. Luca Cambiaso descrive un affollato viluppo di corpi nudi, illuminati dal riverbero rossastro di fiamme invisibili. Si alternano singole scene di violenza, intessute di gesti irrispettosi e volgari. Una donna tenta di difendersi e di proteggersi con le mani dall’abbraccio demoniaco. Un uomo viene atterrato dal demonio con una plastica presa per le caviglie. Due dannati resistono inorriditi sul bordo dell’abisso e vengono spinti alle spalle da un demonio privo di riguardi. Un altro diavolo si carica come fagotti i corpi di una donna urlante e del suo drudo. Una splendida donna nuda, dall’elaborata acconciatura, è ritratta di spalle mentre osserva ancora incredula il destino che l’attende: un diavolo muscoloso si appresta a farla sua. Le pene infernali sono anticipate da lunghi e viscidi serpenti che avvolgono nelle loro spire i dannati che cadono. In basso è il volto stravolto e ormai catalettico di un reprobo artigliato alle spalle e ormai spacciato.
Volgiamo ora lo sguardo sul dipinto di fronte. Del tutto diverso è lo stato d’animo che affiora sui volti degli eletti. L’emozione della salvezza si trasforma in un’estasi mistica, in un gemito onirico e quasi catatonico, nello sforzo di elevare un ringraziamento orante. Rispetto al flusso discendente dei dannati, è qui invece un movimento ascensionale quello che solleva i salvati verso il cielo. La scena si apre in basso con la risurrezione dei corpi, intuita più che descritta. Un angelo armato e vigile respinge agli inferi un diavolo intraprendente, schiacciandolo con un piede. Un altro angelo apre e sfoglia i libri che descrivono le opere compiute in vita e li esibisce ai risorti, significando così il giudizio individuale di condanna o di salvezza. Lo stigma del dipinto è l’agnello, simbolo d’innocenza, che compare sul fondo del dipinto e che vuole esprimere tutto il senso salvifico del sacrificio espiatorio del Cristo, Agnus Dei qui tollis peccata mundi. La scena centrale del dipinto è comunque una replica – mutatis mutandis – della prossemica infernale. Anche qui il pittore descrive gli incontri ravvicinati, gli abbracci, i sostegni, le effusioni che le creature alate celesti riservano ai corpi dei risorti. I risorti hanno tutte le età della vita: vi compaiono i bambini, i giovani e i vegliardi. Manca ovviamente la violenza morbosa, evidente nella caduta dei dannati, ma è comunque percepibile un erotismo sacro, un diffuso compiacimento nella descrizione dei corpi che si toccano, delle mani che sfiorano e accarezzano, dei baci, dei palpiti di piacere. In cielo un festoso girotondo di angeli esprime la gioia quasi infantile per l’arrivo dei beati.
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