Itinerario nella provincia di Brescia
Brescia. I regni dell’aldilà nella chiesa di San Francesco
Le tappe dell’itinerario
La chiesa di San Francesco nella geografia urbana di Brescia è un po’ schiva e appartata e appare a sorpresa al visitatore che la cerca deviando dalle vie centrali. Quattro gradini fasciano tutta la piazzetta dedicata al Santo e immettono nel sagrato, più basso dell’attuale piano stradale. Qui si leva la facciata a capanna, con le sue geometriche ripartizioni che sottolineano il protiro, il rosone, le lesene, gli oculi e i finestroni. L’interno della chiesa ha forma basilicale, con le tre navate scandite da archi su colonne e il soffitto carenato. Le guide turistiche vi segnalano soprattutto le opere del Romanino e il chiostro. Oggi però vi cerchiamo un’opera del passato remoto. Nella navata destra, più bassa di quella centrale, la parete che separa la chiesa dal chiostro, era coperta da una delle più vaste rappresentazioni dell’aldilà esistenti in Italia, databile al primo Trecento. Di questa scenografica visione dei regni oltremondani restano oggi visibili solo alcuni brani, stretti negli interstizi tra gli altari che furono sovrapposti all’inizio del Cinquecento.
L’idea del Paradiso viene trasmessa attraverso diverse immagini. In alto è ancora parzialmente visibile il Paradiso rappresentato dal seno di Abramo: il patriarca accoglie in grembo le anime dei beati e in particolare quella del povero Lazzaro. L’immagine residua era probabilmente affiancata dalle figure degli altri patriarchi, Isacco e Giacobbe. Una seconda immagine paradisiaca è quella dei beati raccolti nel locum refrigerii lucis et pacis, il parco botanico del paradiso terrestre. Su uno sfondo vegetale di alberi fioriti e di piante con i frutti è dipinto un folto gruppo di religiosi e di laici, separati da un frate visto di spalle. Sulla sinistra, riconoscibili dalla tonsura e dalla foggia delle tonache, vediamo i frati domenicani, carmelitani, agostiniani e francescani; sulla destra giovani abbigliati con i lunghi abiti, i copricapi e le calzature del tempo. Ai due lati dell’altare dedicato a San Giuseppe da Copertino restano ben visibili i cori paradisiaci degli angeli, dei santi e delle sante. Si tratta di lunghe teorie dei busti di creature alate e di santi aureolati, generalmente alternati, raffigurati di fronte, di trequarti e di profilo. Il precario stato di conservazione e la scarsità di attributi iconografici rendono improbo il riconoscimento dei volti, ma si può immaginare che vi siano rappresentati gli apostoli, i patriarchi, i profeti, le vergini, i confessori e i più popolari santi dell’epoca.
Un riquadro della parete è dedicato al Limbo dei bimbi, il regno dell’aldilà che rinchiuderebbe i neonati morti prima di ricevere il battesimo. Si tratta di una delle costruzioni escatologiche più detestate e invise al cuore dei genitori (e forse per questo raramente raffigurata). I bambini sono qui raffigurati nudi e non soggetti a particolari sofferenze e punizioni: hanno solo gli occhi chiusi perché, pur nella loro assoluta innocenza, a causa della soggezione al peccato originale, non sono ammessi a vedere la gloria di Dio.
Sopra al Limbo è collocato il Purgatorio. Ne vediamo le fiamme che tormentano le anime di coloro che furono né troppo buoni né troppo cattivi. I risorti che si purificano nell’ignis purgatorius non hanno espressioni disperate, ma anelano a braccia alzate il momento della fine dei tormenti, quando gli angeli verranno a portarli in cielo.
La sezione di destra del grande dipinto era dedicata all’Inferno e descriveva le diverse forme di punizione dei dannati. Nella parte più alta vediamo la moltitudine dei reprobi che si affaccia sulla cornice della caverna e vi precipita. Un diavolo con un forcone infilza due corpi in un solo colpo. Molti malvagi, cadendo, finiscono infilzati sui rami spinosi dello spoglio albero del male: per quel che si riesce a distinguere a essere infilzata è la parte del corpo con la quale il dannato ha peccato in vita. Tra le punizioni dei vizi capitali la più leggibile è quella dell’ira. Gli iracondi, nel loro parossismo collerico e autolesionistico, si conficcano le forbici e i pugnali nel petto, mentre i diavoli li infilzano con una lunga lancia e li mutilano con le tenaglie. Una scena ancora leggibile illustra la punizione dell’avarizia. L’antico detto che ‘il denaro è lo sterco del diavolo’ è visualizzato senza alcuna allegoria: l’avaro (Dives, il ricco) è costretto a ingoiare le monete che il diavolo gli defeca in bocca. Tra l’Avarizia e l’Ira si trova una scena confusa che potrebbe essere l’Accidia (Pigrizia): qui le figure indolenti degli accidiosi sembrerebbero essere stimolate dai morsi dei serpenti.
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