Itinerario in Campania

Sant’Agata dei Goti. Riposare in Paradiso e lavorare all’Inferno

Le tappe dell’itinerario

Sant’Agata dei Goti è una piacevole cittadina della Valle Caudina, distesa ai piedi del monte Taburno, nella zona di passaggio dal Beneventano al Casertano. La chiesa della Santissima Annunziata custodisce un imponente affresco del Giudizio finale dipinto sulla controfacciata in stile tardo gotico, probabilmente nel secondo decennio del Quattrocento. Il Giudizio dell’Annunziata è assai gradevole nella figurazione e denso di episodi che narrano gli eventi della fine del mondo e i regni oltremondani. La particolarità che lo rende indimenticabile è il trasferimento nell’aldilà degli attori economici della vita quotidiana – artigiani, commercianti, professionisti - che continuano così a lavorare senza sosta anche dopo la morte e la risurrezione universale. Questo brulichio incessante di mestieri e professioni, punito all’Inferno per le truffe e gli inganni arrecati alla povera gente, contrasta singolarmente con l’immagine paradisiaca del riposo dei beati tra i lini del seno di Abramo e i fiori del Paradiso terrestre.


La grande figura del Cristo giudice in mandorla occupa lo spazio di due registri nella parte alta dell’affresco. Siede sull’arcobaleno simbolo della nuova alleanza. La croce iscritta nel nimbo e le piaghe delle mani e dei piedi ricordano ai risorgenti che il suo sacrificio ha reso possibile la salvezza di tutta l‘umanità. Ma non tutti hanno sfruttato quest’opportunità di salvezza. Il gesto della sua mano destra simboleggia così l’accoglienza per i fedeli che hanno praticato la virtù. Mentre il dorso della mano sinistra simboleggia l’allontanamento dei viziosi verso un destino di dannazione eterna. Tutt’intorno a Gesù è visibile la corte celeste. Il primo registro è occupato dagli angeli alati genuflessi nella preghiera. Il secondo registro è occupato dagli apostoli seduti sui troni del tribunale celeste. A destra di Gesù siede Pietro, che ha in mano le chiavi del regno e il volume delle sue lettere. A sinistra è invece Paolo, con la lunga barba nera, la spada del suo martirio e il volume delle sue lettere. Ai piedi di Cristo, in ginocchio e a mani giunte, la madre di Gesù e il precursore Giovanni, pronunciano la loro preghiera d’intercessione. Sull’altare dell’etimasia sono poggiati i sette candelabri apocalittici e gli strumenti della passione di Gesù: la croce, la corona di spine, i tre chiodi, la colonna e i flagelli, la lancia di Longino, la canna con la spugna e il secchiello dell’aceto. Alla base dell’altare i santi Innocenti, martiri della persecuzione, chiedono giustizia per il sangue ingiustamente versato.


La scena della risurrezione dei morti è annunciata da due angeli trombettieri che scendono in volo dalle nubi e soffiano nelle lunghe trombe adorne dei vexilla regis. Il senso di quest’appello sonoro è espresso nelle frasi latine dei cartigli che incitano i defunti a risorgere e a sottoporsi al giudizio divino: «Venite ad Dominum paratum quia ipse iudicabit vos» e «Surgite mortui et defuncti et venite ad judicium». Il suono delle trombe scoperchia una decina di sepolcri e ne fa emergere giovani uomini dalla barbetta ispida e donne bionde e procaci che prendono progressivamente coscienza di quanto sta accadendo in cielo.


L’esecuzione tecnica del giudizio è affidata a San Michele arcangelo. Michele è il condottiero delle milizie celesti: indossa una divisa militare leggera e regge una spada sguainata; con la mano sinistra sostiene una bilancia a due piatti sulla quale effettua la pesatura delle anime e proclama la sentenza di assoluzione o di condanna.

Un particolare originale dell’affresco è la rappresentazione del combattimento tra le virtù e i vizi. Questo tema è molto caro al medioevo ed è certamente di un’efficace metafora del giudizio universale ma viene abitualmente raffigurato in forma autonoma. Qui invece la psicomachia funge da corollario alla psicostasia, esprimendo in altri termini l’idea del trionfo del bene sul male. Le virtù sono rappresentate da sette bionde fanciulle dotate di aureola e corona sulla testa, capelli lunghi fino al fondoschiena, abiti a tinta unita di vari colori e lunghi fino ai piedi; con lunghe forche schiacciano a terra altrettante fanciulle, simili a loro nell’aspetto ma prive di corona e con un peso al collo. Le sette ragazze coronate simboleggiano le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e le quattro virtù cardinali (giustizia, fortezza e temperanza; la quarta è l’umiltà che sostituisce la prudenza). Le sette ragazze sconfitte rappresentano i sette vizi capitali (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia).


Un diavolo trascina in catene un gruppo di dannati elegantemente vestiti e li precipita tra le fiamme. Siamo nel regno dell’Inferno. Al centro vi siede Lucifero, sovrano infernale, con le catene al collo, ai polsi e alle caviglie, ali scure da pipistrello e possenti corna d’avorio. Tra le mani stringe minaccioso un gruppo di tiranni. Questi re con la corona d’oro e questi nobili con copricapo di panno ed ermellino hanno ormai deposto le pose orgogliose e l’attitudine al comando; tra le mani di Lucifero appaiono oltremodo preoccupati, quando non atterriti, dal rovesciamento della sorte che li riguarda. Le grandi pene che caratterizzano il mondo infero sono quattro: l’arbor mali, il drago, i serpenti e il fuoco. L’albero del male è un grande tronco suddiviso in quattro rami spogli di foglie e di frutti. Diavoletti color carbone, armati di pugnali, saltano come scimmiette tra i rami e sottopongono varie tipologie di dannati alla pena della pendaison. L’omicida è impiccato per il collo; il bestemmiatore è impiccato per la lingua; il fornicatore è appeso per il sesso; il traditore è appeso a testa in giù per una caviglia; il ladro è appeso per una mano; il sacrilego è appeso per i fianchi; la ruffiana è appesa per i capelli; il falso testimone è impiccato per un occhio. Alle spalle di Lucifero si colloca il drago. Ha un lungo corpo di color verde, a squame e scaglie; la testa ha una bocca dentata, occhi opachi, lunghe orecchie e corna; le ali sono rosse e dello stesso colore sono le zampe unghiute con le quali artiglia il terreno e si arrampica sulle rocce. Il corpo termina con una coda attorcigliata, dotata di una nuova bocca. Al drago è affidato l’incarico di inghiottire i dannati: la bocca principale ingurgita due corpi, forse di lussuriosi; l’altra bocca inghiotte (o vomita) un corpo, forse di un superbo. Le due bocche e la posizione di Lucifero seduto sul suo corpo suggeriscono l’idea che il drago sia un complemento di Lucifero e ne confermi il carattere trifronte, con tre facce e tre bocche. Alla pena del fuoco sono assoggettati numerosi lavoratori e professionisti, protagonisti della vita economica del tempo. È la scena più curiosa e – se così si può dire – “divertente” dell’affresco. Il pittore vi esprime il risentimento popolare e lo sdegno per i comportamenti truffaldini di artigiani e commercianti. Le invettive del popolino truffato, vittima degli inganni dei liberi professionisti, si traducono nel velenoso morso dei serpenti che artigliano i dannati: il fabbro che martella il ferro sull’incudine, il calzolaio che taglia il cuoio con le cesoie, il banchiere che presta i soldi sul banco, il giudice con il codice, il notaio con le pergamene e le pandette, il mugnaio che macina le granaglie con la mola a pedale, il macellaio con la bistecca di carne, l’oste con la tazza del vino, il contadino con la roncola, l’usuraio che ingoia metallo fuso, un sodomita infilzato sullo spiedo, una prostituta con lo specchio e l’ampolla del profumo, lo scismatico segato in due.


L’affresco contiene anche un’immagine del Purgatorio. Esso ha l’aspetto di un fiume sotterraneo al quale si accede da un pozzo. Non un fuoco, dunque, ma acque termali. La pena viene espiata attraverso un percorso di purificazione simboleggiato dalla progressiva emersione dei corpi dal fiume purgatorio. Gli avari e i fornicatori emergono dapprima solo con la testa, per poi sollevarsi lentamente ed emergere col petto, con i fianchi, con le caviglie, fino alla liberazione finale. A quel punto intervengono gli angeli a sollevare i purgati dalle acque e ad accoglierli in Paradiso al suono degli strumenti a corda. La funzione pedagogica dell’affresco nei confronti dei vivi è sottolineata dalla scritta «pro missas pro helemosina»: essa ricorda che le preghiere e le opere di bene a favore dei defunti hanno la funzione di accelerare i tempi di stazionamento dei propri cari in Purgatorio.


La visione dell’arrivo dei beati in Paradiso occupa la parte inferiore dell’affresco, a sinistra del portone. Il Paradiso è descritto come una città medievale fortificata, cinta da mura merlate e barbacani, con un’alta torre circolare al centro e il portone d’accesso ben chiuso. La città ospita un lussureggiante giardino, con palme cariche di datteri, cespugli fioriti e alberi da frutto. Gli unici abitanti della città sono tre vegliardi con la kippah. Questa visione paradisiaca è la sintesi, l’assemblaggio, di tre distinte e tradizionali immagini dei luoghi di beatitudine: in primo luogo il giardino dell’Eden, il paradiso terrestre della creazione, chiuso a chiave dopo l’espulsione dei progenitori a causa del loro peccato originale; poi la nuova Gerusalemme, la città santa di Dio scesa sulla terra, rivelata dalle pagine finali dell’Apocalisse; e infine il Seno di Abramo, il rifugio dei beati nel grembo dei tre patriarchi biblici, la dinastia familiare di Abramo, Isacco e Giacobbe.

Quattro cortei di beati, inondati di petali di fiori sparsi dagli angeli, raggiungono la porta del paradiso. Nel segno della nuova alleanza, l’apostolo Pietro riapre il Paradiso con le chiavi promessegli da Gesù e vi introduce, stringendolo per il polso, un Papa suo successore nella guida della chiesa. Il primo corteo comprende eminenti figure di santi e sante, incorniciati da aureole. Una possibile lettura dei volti e degli attributi rivela San Benedetto, San Giacomo, Sant’Antonio, San Leonardo e Santa Caterina d’Alessandria. Il secondo corteo comprende i sovrani angioini e i nobili della corte napoletana. Il terzo corteo è quello delle gerarchie ecclesiastiche: il papa, i cardinali, il vescovo, i religiosi. Il quarto corteo accoglie un gruppo di donne sante, eleganti e con ricchi copricapi.

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