Itinerario in Campania
Napoli. I Novissimi dei Camaldolesi
Le tappe dell’itinerario
La collina di Camaldoli è la più elevata dell’anfiteatro di colli che circonda il golfo di Napoli. Oggi è inserita nel Parco metropolitano delle Colline di Napoli, nel tentativo un po’ disperato di proteggere gli ultimi spazi naturali rimasti e tutelare le aree lasciate ancora libere dall’invadente urbanizzazione. Per i napoletani e i turisti il Belvedere dei Camaldoli, dall’alto dei suoi 485 metri, è una potente calamita che propone un’oasi di fresco rispetto all’afa cittadina e un’incomparabile visione del Vesuvio e del golfo di Napoli, dell’intera città e del quadrante dei Campi Flegrei. L’Eremo fu costruito alla fine del Cinquecento per ospitare una comunità di monaci benedettini, seguaci di San Romualdo e della sua regola che alternava l’eremo al cenobio. I benedettini camaldolesi hanno lasciato un’impronta significativa, visibile in particolare nella Chiesa dell’eremo e nelle celle monastiche, ma anche nell’orto, nei giardini e nella panoramica foresteria, dotata di biblioteca e refettorio. Oggi il ramo camaldolese dei benedettini è in estinzione. E così l’eremo ha visto subentrare un’attiva comunità di suore legate al carisma di Santa Brigida di Svezia, la “mistica del Nord”.
La Chiesa dell’eremo custodisce nel coro dei monaci, collocato dietro l’altare maggiore, quattro tele a olio del 1620 dedicate ai Novissimi. L’autore potrebbe essere Antiveduto della Grammatica, un pittore tardo-manierista, seguace del Caravaggio. Ma viene suggerito anche il nome del Padre Venanzio Camaldolese, autore di altre opere presenti nell’eremo.
Il tema della Morte è declinato nella scena del transito di San Romualdo, fondatore della Congregazione Camaldolese. Nel racconto di san Pier Damiani, suo biografo, Romualdo sarebbe spirato nella notte, in solitudine, nella sua cella dell’eremo marchigiano in Val di Castro, vicino Fabriano. Il pittore lo raffigura qui sul letto di morte, con la croce e il vangelo sul fianco. Lo sovrasta già lo scheletro incombente della Morte, che ha in mano la falce livellatrice. In alto, da un oculo, gli angeli osservano la scena. Nella cella del santo si affollano i confratelli camaldolesi per pregare, somministrargli l’estrema unzione, aspergerlo con l’acqua benedetta e preparare i riti funebri. Un monaco, in basso a destra, invita gli spettatori a osservare la scena e a unirsi al cordoglio.
La tela successiva descrive la movimentata visione del Giudizio universale. La scena è divisa in due parti: in alto è il Cristo giudice con la sua corte celeste; in basso, sulla terra, i morti risorgono, ascoltano la sentenza e si dividono nei due cortei dei beati e dei dannati. Le due scene sono legate dall’ostensione della croce, segno del sacrificio di Gesù per la salvezza dell’umanità. Il Cristo esce da un varco del cielo sfolgorante di anelli di luce e siede sulle nuvole avvolto in un lungo mantello rosso, simbolo del suo martirio. In alto svolazzano gli angioletti che esibiscono la corona di spine e gli altri segni della passione. A fianco di Gesù siedono gli apostoli, costituiti in tribunale celeste. La madre di Gesù e Giovanni il Battista, in ginocchio, tentano di temperare l’ira del giudice. Immediatamente sotto, quattro angeli suonano le lunghe trombe che chiamano i morti alla risurrezione. Altri angeli aprono i libri del giudizio che riportano le parole della duplice sentenza pronunciata da Gesù, con i versetti della Vulgata matteana: «Venite benedicti patris mei, percipite regnum quod vobis paratum est» e «Ite maledicti in ignem æternum qui paratus est a diabulo». In basso i morti riemergono dalle loro tombe e apprendono rapidamente quale sarà il loro destino. Le espressioni del volto e delle mani trasmettono le emozioni di quel momento: da un lato lo sconcerto, l’angoscia e la disperazione da un lato; dall’altro lato la sorpresa un po’ attonita, la gioia, la gratitudine, la preghiera di ringraziamento. Gli angeli aiutano i risorti a sollevarsi dai loro sepolcri e li indirizzano verso il cielo. I diavoli, in pose particolarmente violente e selvagge, spingono i risorti destinati alla dannazione, li incatenano e li conducono in gruppo verso l’inferno.
La terza tela descrive il Paradiso, raccolto intorno alla divina Trinità. Il Padre canuto con lo scettro e il Figlio con la croce e il mantello regale sostengono il globo terrestre: la corona che ne cinge il capo simboleggia la loro signoria sull’Universo. La scena è completata dalla presenza della colomba dello Spirito in un cerchio di luce, della Madonna in posa orante e del Battista, in uno svolazzare di angioletti. Sotto la divinità compare la fascia di santi, assiepata sulle nuvole. Le palme dei martiri segnalano la presenza di Santo Stefano, il protomartire, e di San Sebastiano con le frecce. In basso sono i nuovi arrivati in Paradiso: indossano il saio degli ordini religiosi, le insegne dell’episcopato e del cardinalato la corona e il mantello regale. Questo paradiso dei Camaldoli – dirà Romeo De Maio in modo irriverente - «è insopportabilmente monotono, popolato di vergini, martiri, pontefici, vescovi e sovrani, dalle facce più ebeti che sorprese, disposti in ordini rigorosamente selettivi, e compostissimi come un collegio di gesuiti in chiesa. Esso costringe lo spettatore, e forse anche i camaldolesi, a porsi la questione non solo del quid faciendum in toto aeternitatis aevo, ma del senso stesso della milizia svolta per conseguirlo».
La quarta tela getta uno sguardo allucinato nel profondo dell’Inferno. Il quadro trasmette la sensazione quasi psichedelica di un regno fatto di tenebre, illuminato a tratti dal riverbero delle fiamme. I lampi di luce generati dai fuochi segnalano ombre di dannati puniti e scene di violenza diabolica. I reprobi sono costretti con la forza a scendere nella caverna infera. A forza di bastonate sono portati di fronte al giudice infernale che ha il compito di deciderne la pena. Dopo la sentenza precipitano nelle segrete più profonde e sono sottoposti alle torture più sconvolgenti, appesi a testa in giù, sollevati da terra per i polsi ammanettati dietro la schiena, morsi dai serpenti velenosi, abbrustoliti nel pentolone appeso al gancio del camino. L’effetto dissuasivo è garantito.
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