Itinerario nella città vaticana, a Roma e nella sua provincia
In barca sul Tevere con Caronte
Le tappe dell’itinerario
Le immagini del Paradiso
Tra i regni dell’aldilà il Paradiso è certamente la destinazione agognata dai credenti e dagli uomini ‘giusti’. Non stupisce dunque che gli iconografi abbiano cercato di immaginarlo e renderlo visibile, concreto, vicino ai fedeli. Per i primi cristiani la morte non è la fine ma un “riposo”, un lungo sonno in attesa dello squillo delle resurrezione. La sepoltura dei cristiani nei cimiteri e nelle catacombe era associata alla celebrazione della cena eucaristica, nel ricordo delle parole di Cristo: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Giovanni 6,51.54). Quando i primi cristiani vogliono raffigurare il paradiso, dipingono un banchetto celeste. Hanno nelle orecchie le parole del vangelo di Matteo (22,2): il regno di Dio è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. E ricordano anche l’esclamazione del commensale di Luca (14,15): Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!. E così l’immagine del convito celeste si ritrova più volte nelle catacombe cristiane. Nelle lunette di alcuni arcosoli del cimitero dei santi Pietro e Marcellino troviamo raffigurazioni di mense celesti. In una di queste i convitati sono serviti a tavola da due fanciulle chiamate Agape e Irene: questi nomi designano probabilmente, al di là delle persone reali, l’Amore e la Pace del Paradiso. Un affresco del terzo secolo che si trova nelle catacombe di Callisto, mostra una scena di banchetto che è forse memoria del miracolo della moltiplicazione dei pani. L’altra scena di banchetto celeste che troviamo nelle catacombe di Priscilla - una fractio panis con sette commensali - allude forse alla terza apparizione del Risorto a sette dei suoi discepoli, sulla riva del lago di Tiberiade.
Il paradiso è stato anche descritto come il giardino delle delizie, quel giardino dell’Eden nel quale vissero felici Adamo ed Eva, prima del peccato originale. Nel racconto della creazione (Genesi 2,8), dopo aver creato il primo uomo, Dio “piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo”. Se ci rechiamo nella Galleria Doria Pamphilj a Roma, possiamo osservare due famose immagini del Paradiso Terrestre. La prima è un dipinto di Jacopo da Ponte e di suo padre Francesco. La bucolica scena ritrae Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, circondati da alberi e piante in piena fioritura e da un gruppo di animali domestici (agnelli, leprotto, gallo, capra, pavone) sotto un cielo scuro traversato da bagliori di luce e dal volo di numerosi tipi di uccelli. Sullo sfondo è il panorama del Grappa, caro alla famiglia veneta dei Bassano. La seconda immagine è un dipinto di Jan Brueghel il Vecchio del 1612. E’ il trionfo della natura: animali domestici e selvatici convivono in primo piano sullo sfondo delle acque degli stagni e dei fiumi e di una rigogliosa foresta. Adamo ed Eva sono in secondo piano sotto un albero, mentre si scambiano il frutto del peccato. Sostanzialmente identica è la grande tela di Peter Wenzel in Vaticano: il paradiso terrestre è la radura di un folto bosco sulla riva del fiume: i progenitori sono circondati da oltre duecento animali di tutto il mondo, un esempio di virtuosismo della natura animale. Sappiamo che le delizie dell’Eden non durarono a lungo. Adamo ed Eva trasgredirono il comando divino e il Signore “scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante”. Da allora nessuno più poté accedere al paradiso perduto. Ma il mito del paradiso terrestre generò un gran numero di utopiche terre felici: il giardino delle Esperidi, le isole dei Beati, i Campi Elisi, le isole Fortunate, l’Atlantide, l’isola di Avalon, Thule, l’isola Bianca, il regno del Prete Gianni e persino il paese di Cuccagna.
Una terza immagine del paradiso è quella della città dei beati, la Gerusalemme celeste. Il fenomeno dell’urbanizzazione marca anche la geografia dell’aldilà, trasferendo progressivamente la popolazione “eletta” dai bucolici agi della campagna alle nuove residenze urbane. San Paolo lo aveva indicato nella sua seconda lettera ai Corinzi (5,1): “Sappiamo, infatti, che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mano d’uomo nei cieli”. E nella lettera agli Ebrei (13,14) aveva scritto: “Noi non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”. Questa città era già stata vista da Ezechiele, che racconta (40,2): “La mano di Jahvé mi trasportò in visioni divine nel paese di Israele e mi depose su un monte altissimo, dove mi stava di fronte qualcosa come la costruzione di una città”. E la visione si ripete a Patmos, nel racconto di Giovanni (Apocalisse 20): “L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”.
Una splendida immagine della città del Paradiso si ammira nei mosaici della Basilica di Santa Prassede: la Gerusalemme celeste è descritta sull’arco trionfale, circondata da mura incastonate di gemme preziose e intervallate da piccole torri. Lo sfondo è un cielo azzurro mosso da piccole nubi stilizzate. Il Paradiso ospita Gesù, i profeti Mosé ed Elia, la Madonna e San Giovanni, santa Prassede e gli altri santi che portano le corone della gloria. Da due porte opposte, gli angeli, sorridenti e amichevoli, introducono in Paradiso altre schiere di eletti che procedono su un giardino verde e fiorito e che sono guidate da San Pietro e da San Paolo.
Una quarta raffigurazione del Paradiso, che diverrà molto popolare nel Seicento barocco, è quella della corte celeste. E’ il soggetto che Giovanni da San Giovanni ha dipinto nel 1630 nel catino dell’abside della basilica romana dei Santi Quattro Coronati. Lo schema è gerarchico. In basso è il coro dei santi, individuabili dall’abito, dalle insegne o dagli oggetti che li accompagnano. Salendo verso l’alto, su cerchi di nuvole, sono descritti i cori successivi della beatitudine, quelli degli apostoli, degli angeli, della madre del Salvatore, fino ad arrivare alla maestà della Trinità. Un altro esempio che citiamo è la chiesa del Gesù. Un grande ciclo del Baciccia, dedicato alla visione del Cielo, decora la volta e la cupola, in stretta integrazione tra pittura, scultura e architettura. Più strutturata in cerchi concentrici è la visione del Paradiso che inneggia a Gesù nella cupola, datata 1679. Più fluida e libera dagli schemi e con un effetto straordinario di prospettiva aerea è la visione della volta dedicata al trionfo del nome di Gesù. Le nuvole su cui siedono i beati sfondano la cornice e sembrano librarsi nello spazio. Gli angeli ribelli, simbolo dell’errore e dell’eresia, cadono giù del Paradiso e sembrano precipitarci addosso. Nella calotta dell’abside è una terza immagine celeste, l’adorazione apocalittica dell’agnello sul trono con i vegliardi dell’apocalisse che sollevano “le coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi”.
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