Itinerario in Puglia
Salve. Dal peccato originale al giudizio universale
Le tappe dell’itinerario
Adagiato tra gli uliveti della Serra jonica, Salve è uno dei paesi più interessanti del basso Salento. Si fa apprezzare per il suo mix virtuoso di memorie archeologiche, architettura rurale spontanea, frantoi ipogei e fogge, accoglienti masserie, storici castelli e palazzi a corte, spiagge fregiate della bandiera blu. La parrocchiale di San Nicola vanta un piccolo museo e un prezioso organo del 1628. E tutto il tessuto urbano s’intreccia a una fitta rete di cappelle. Una di queste è dedicata a Sant’Antonio e ospita un’originale visione della storia della salvezza raccontata nel suo momento germinale, la creazione e il peccato originale, e nel suo momento terminale, la risurrezione dei morti e il giudizio universale. Di fronte a quest’immagine della creazione e della seconda venuta di Cristo è raffigurata la scena dell’Annunciazione, che ricorda la svolta della nuova alleanza proposta da Dio al suo popolo con l’incarnazione del figlio Gesù. L’affresco è datato 1586.
La creazione e il peccato originale
L’affresco sull’antica controfacciata della cappella riporta nell’arco in alto la scena dei capitoli iniziali della Genesi e in basso le diverse scene del giudizio finale. Il pittore mostra ai fedeli i frutti della creazione: la luce del giorno e il buio della notte, gli astri del cielo (il faccione sorridente del sole, il profilo della luna e le stelle), la terra e il mare, le piante e i fiori, gli uccelli del cielo e gli animali terrestri (quelli domestici come la capra e il maiale e quelli esotici come il coccodrillo, l’elefante e la giraffa), l’uomo e la donna. Il centro della scena è occupato dall’albero dell’Eden e dall’inganno del serpente che convince Eva ed Adamo a mangiarne il frutto proibito (Gen 3, 1-6).
La risurrezione dei morti
Le tre scene della risurrezione dei morti sono tra le più gustose per il loro carattere naif. In fondo a sinistra è descritta la risurrezione di coloro che furono divorati dalle bestie feroci: la terra è personificata in un omino vestito di una tunica bianca che cavalca un leone e che indica ai risorgenti la venuta del giudice. Il leone, un lupo e un cinghiale restituiscono, vomitandole dalla bocca, le teste di quegli sventurati che furono sbranati. E il pittore – che dimostra un debole per gli animali - non dimentica di far risorgere dalla bocca dei predatori anche le innocenti bestiole vittime della feroce legge della giungla. Più in alto è descritta la risurrezione dei morti in mare, annegati e ingoiati dagli squali. Il mare è simboleggiato da una sirena, con una fiocina in mano, a cavallo di un’enorme balena. Come nell’episodio di Giona il cetaceo vomita il corpo di un uomo ingoiato. Anche le altre creature marine, tra cui un impressionante serpente acquatico, vomitano resti umani e pesci dei quali si sono nutriti. La terza scena è la risurrezione dei morti inumati, descritta sulla sommità della porta d’ingresso e sul suo lato destro in basso. La scena è popolata di teschi e di ossa sparse: due scheletri ricomposti fuoriescono dalla terra e ritornano alla vita.
Il giudizio
Assente il Cristo parusiaco, il giudizio individuale dei risorti è affidato all’arcangelo Michele, raffigurato privo di armi, rivestito di panni civili e fornito di curiose calzature. Michele pesa le anime sulla bilancia a due piatti, emette la sentenza e indica con un dito il luogo di destinazione: il paradiso o l’inferno.
Il Paradiso
Aperto dalle festose scene di giubilo dei committenti dell’affresco e guidato dall’apostolo Pietro, il corteo dei beati si avvia verso il paradiso. Si tratta in realtà del Paradiso terrestre, raffigurato come un giardino fiorito cinto da mura turrite; secondo il racconto della Genesi il giardino è chiuso e la sua porta è vigilata da un cherubino armato di spada, dopo la cacciata dei progenitori a causa del loro peccato originale; ma ora, ristabilita l’antica alleanza, San Pietro può salire la scala santa e riaprire il portone con le chiavi del regno dei cieli promessegli da Gesù. All’interno del paradiso siedono i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, che recano in grembo le anime dei salvati e, in particolare, l’anima del povero Lazzaro.
L’Inferno
L’Inferno è un caotico corteo di viziosi che i diavoli raccolgono, regolano, incanalano e riversano con i forconi di legno dentro le fauci fiammeggianti del drago infernale, memoria del Leviatano di Giobbe. Specularmente alle personificazioni della terra e del mare, il drago apocalittico è cavalcato dalla nera e gigantesca figura di Lucifero. Il capo dei demoni sorride sardonico, incorniciato da un’aureola di fiamme, e si tiene in equilibrio afferrando con la mano destra un corno del drago e reggendo nella sinistra un tridente di ferro.
La prima punizione infernale si riferisce al vizio capitale dell’accidia: una coppia indugia pigramente a letto dimenticando che alla domenica si osserva il precetto di andare a Messa e non si resta a dormire. I lussuriosi sono condotti all’inferno appesi a due a due come caciocavalli su un bastone retto sulle spalle da due diavoli. Il commerciante che ha falsato la bilancia e ha frodato sul peso è preso per i piedi e pesato a testa in giù. Gli usurai e gli avari sono raffigurati con le scarselle dei soldi. I golosi bramano le loro agognate leccornie ma ne sono bruscamente tenuti lontano dai diavoli. Purtroppo le cattive condizioni di questa sezione dell’affresco rendono difficilmente leggibili e interpretabili le altre scene.
Le opere di misericordia
La parete che fiancheggia la scena dell’Inferno riporta la chiave scritturistica che spiega e motiva la dannazione. Una serie di quadretti descrive le opere di misericordia sulle quali Gesù giudicherà il comportamento degli uomini nel giorno del giudizio universale. E l’originalità di questi quadretti ammonitori è che illustrano la versione “in negativo” della sentenza del giudice, riportata nel vangelo di Matteo: «Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?". Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna"» (Mt 25, 41-46). Il pittore ha così voluto censurare il cattivo comportamento sia del padrone di casa che, mal consigliato dal diavolo, prende a calci l’ospite, sia della donna che non si prende cura del congiunto ammalato o dell’uomo in carcere; non contento, ha voluto rafforzare il senso delle immagini aggiungendovi il testo della versione latina della Vulgata: «hospes eram, et non collegistis me; nudus, et non operuistis me; infirmus et in carcere, et non visitastis me».
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