Itinerario in Puglia
Mottola. L’escatologia della chiesa rupestre di San Nicola
Le tappe dell’itinerario
La chiesa rupestre di San Nicola, scavata in una gravinella là dove il colle di Mottola termina sul piano, è giustamente famosa per la sua perfetta architettura bizantina, per l’accuratezza della sua fattura e per la qualità degli affreschi, tanto da essere definita, con enfasi forse eccessiva ma comunque motivata, «Cappella Sistina della civiltà rupestre». L’aula (naos) è divisa dai pilastri in tre navate, di cui la centrale ha dimensioni doppie rispetto alle laterali. La sua destinazione ai fedeli è resa evidente anche dai lunghi sedili in pietra che corrono alla base delle pareti e intorno ai pilastri. L’iconostasi stacca nettamente il presbiterio (bema) dall’aula e dà accesso all’altare e all’abside principale, fiancheggiata dalle due absidiole destinate consuetudinariamente a Prothesis e Diaconicon. Le immagini affrescate sembrano scaturire da un preciso programma iconografico e teologico: un corpo d’immagini che alludono al giudizio finale, alla speranza di un aldilà dopo la morte, al regno di Dio.
Nell’abside centrale campeggia una magnifica immagine della Deesis, raffigurazione sintetica del Giudizio di Dio, con il Cristo Pantocrator affiancato dagli intercessori Maria e Giovanni Battista.
Cristo ha il nimbo crucifero e il volto severo nell’espressione dura di chi pronuncia una sentenza di giustizia; con la mano destra benedice alla greca e con la sinistra tiene un libro aperto dove si legge in greco "Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre". A temperare l’ira del giudice e a intercedere per l’umanità sono le due austere figure laterali della Vergine e di Giovanni Battista, in atteggiamento di sottomissione, con il gesto della mano che orienta i fedeli ad aver fiducia nel Giudice.
Nel sottarco della navata sinistra sono affrescati i volti delle vergini sagge e delle stolte: due di loro, a sinistra, hanno la lanterna accesa e la scritta prudentes; le altre due a destra hanno la lampada spenta e la scritta fatue. La parabola delle dieci vergini, riportata da Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo, è una delle metafore del giudizio finale: solo le cinque vergini che si saranno conservate vigili e previdenti saranno ammesse nella sala delle nozze all’incontro con lo sposo; le altre resteranno invece escluse e confinate fuori al buio.
L’arcangelo Michele, protagonista del giudizio finale, è qui raffigurato due volte. Nella prima immagine assume le sembianze dell’Archistrategos, il capo delle milizie celesti in lotta contro il drago infernale; rivestito di una tunica rossa con una lancia nella mano destra infilza il drago mentre regge nella sinistra il sigillo con il criptogramma “Cristo vince”. Nella seconda immagine, frontale, indossa una tunica rosa sotto il loros e ostenta un keramios con il criptogramma “Gesù Cristo vince”.
La speranza di un futuro glorioso dopo la morte è descritta da due episodi relativi rispettivamente a Stefano, il primo martire, e a Giovanni, l’evangelista. Stefano fu un diacono nominato direttamente dagli apostoli nella primissima comunità cristiana; la sua vicenda è narrata nei capitoli 6 e 7 degli Atti: ingiustamente accusato di fronte al Sinedrio, pronunciò la sua professione di fede e la concluse alzando gli occhi al cielo e dicendo: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio»: fu trascinato fuori dalle mura della città e selvaggiamente lapidato. Nell’absidiola di sinistra Stefano è raffigurato in ginocchio ai piedi di Gesù seduto in trono che lo benedice e lo accoglie nel suo Regno.
Nell’absidiola di destra è raffigurata la morte di San Giovanni Evangelista, rappresentato come un vecchio canuto, con gli occhi e le mani rivolte in atto di contemplazione, nel suo sarcofago, dove entrò sentendo la morte ormai vicina: dalle nubi si vede uscire una mano benedicente alla greca, che accoglie Giovanni nel paradiso.
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