Itinerario in Umbria
Orvieto. Le scene del Giudizio finale sulla facciata del Duomo
Le tappe dell’itinerario
Il Giudizio finale di Lorenzo Maitani
La facciata del Duomo di Orvieto è ornata da quattro grandi lastre di marmo che raccontano in bassorilievo le storie del vecchio e del nuovo testamento, dalla creazione dell’uomo fino al giudizio finale. Lorenzo Maitani e i suoi aiuti le scolpirono e le collocarono sui quattro pilastri tra le tre porte del Duomo all’inizio degli anni trenta del Trecento. Le scene del Giudizio universale sono inquadrate da tralci di vite, con foglie e grappoli d’uva, in cinque fasce sovrapposte.
La prima fascia contiene la visione del tribunale e del Giudice che pronuncia il giudizio finale. Gesù Cristo è scolpito all’interno della mandorla sorretta dagli angeli, seduto sull’arcobaleno; ha una barbetta e lunghi capelli ed esibisce i fori dei chiodi e la ferita sul costato. In cielo appaiono gli strumenti della Passione, segni della sua venuta: la croce, la canna con la pugna, la lancia di Longino, i flagelli, i chiodi e la corona di spine. Quattro angeli si lanciano in volo verso la terra e suonano le lunghe trombe che annunciano il risveglio ai morti e la sentenza del giudice. Il tribunale celeste è composto da ventitrè giurati; la prima fila è seduta su una panca di marmo; la seconda fila è invece in piedi; i giurati comprendono verosimilmente il gruppo degli apostoli e il gruppo dei profeti: quest’ultimi sono riconoscibili dai rotoli dei loro scritti annunciatori del giudizio. Ai due lati di Gesù sono collocati Maria di Nazaret e Giovanni Battista in preghiera che assolvono al tradizionale ruolo di avvocati dei peccatori e intercessori.
La seconda fascia descrive il Paradiso dei santi. Nella scena di sinistra gli angeli accompagnano al cospetto di Dio il gruppo dei papi e dei vescovi santi, i fondatori dei grandi ordini, i religiosi; in coda fa capolino l’autoritratto di Maitani con la squadra sulle spalle. La scena di destra vede invece protagoniste le vergini, le martiri e le donne sante. I loro volti esprimono la beatitudine. Le loro mani sono giunte nella preghiera. Una santa si scherma gli occhi con una mano, abbacinata dalla visione di Dio.
La terza fascia è dedicata all’accoglienza dei beati. I protagonisti sono qui soprattutto gli angeli. Essi indicano ai titubanti risorti, che hanno appena superato la prova del giudizio e che si sono rivestiti della veste candida, quale sia la strada da percorrere verso il Paradiso e la visione di Dio; spingono i più timorosi, sollevano i più riluttanti, abbracciano fraternamente i nuovi arrivati, consigliano, si felicitano, incoraggiano.
La quarta fascia descrive la separazione degli eletti dai dannati e rappresenta con efficacia le diverse emozioni. I volti dei beati, appena giudicati, esprimono ancora la tensione dell’attesa, la sorpresa degli avvenimenti, l’incredulità per la loro nuova condizione, la gioia di riconoscere e segnalare le persone conosciute e poi, in crescendo, i sentimenti di gioia, di ringraziamento e di preghiera. Tutt’altre note si registrano invece nel campo dei dannati. La folla dei reprobi è pressata dagli angeli giustizieri, incatenata e trascinata da orridi diavoli. Essi esprimono un tumulto di sentimenti: il dispiacere che muove al pianto, il rifiuto di vedere l’orrore, l’urlo che si spegne in bocca, la richiesta di una pietà ormai impossibile, la paura del nuovo destino, l’annichilimento a causa dell’assordante fragore, l’angoscia per l’esito inatteso, fino alla perdita della coscienza e al crollo fisico e psichico.
La quinta fascia è la più bassa, alla portata di qualunque mano curiosa e irrispettosa. Questo spiega l’apposizione di una lastra trasparente per proteggere i delicati rilievi. La scena di sinistra descrive la risurrezione dei morti. Corpi muscolosi si rianimano, scoperchiano i sepolcri, sollevano le lastre, riacquistano la coscienza, sperimentano la vista e l’udito, si muovono grazie alla nuova libertà del movimento, attendono il giudizio individuale che li riguarda. La scena di destra racconta l’orrore dell’Inferno. Lucifero ha la testa, i polsi e le caviglie incatenate ma poggia con il suo corpo su un trono formato dal viluppo dei corpi di un gruppo di sventurati dannati; il ruolo di punitore è assolto dal drago che avviluppa le sue membra e che è dotato di due teste fameliche: la prima addenta la nuca di un dannato, mentre la seconda è impegnata a ingoiarne un secondo divorandone il braccio. Tutt’intorno a Lucifero sono visivamente descritte le scene di sadismo e di tortura degli scheletrici diavoli. I dannati sono spinti, schiacciati, presi a calci, graffiati, trascinati per i capelli, flagellati, brutalizzati, strangolati, morsicati da lunghi serpenti. Sui loro volti si alternano il raccapriccio, il pianto disperato, l’urlo d’angoscia, l’impotenza, la rassegnazione.
Le opere di misericordia di Emilio Greco
Il portale centrale del Duomo è dotato di imposte bronzee modellate negli anni 1964-70 dallo scultore Emilio Greco. I sei scomparti raffigurano le Opere di misericordia corporale. Il soggetto è una metafora del Giudizio finale, con trasparente allusione al testo del vangelo di Matteo: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me"» (Mt 25, 31-40).
Le opere di carità sono descritte da Emilio Greco con largo corredo di Angeli che ne spiegano il significato agli astanti.
Procedendo in senso antiorario, la prima scena descrive il “dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati”. Le spighe di grano e il grappolo d’uva che gli angeli consegnano ai bisognosi rappresentano sia il cibo materiale che il nutrimento eucaristico spirituale.
La seconda scena, corrispondente all’invito di “vestire gli ignudi”, vede un simbolico Martino di Tours a cavallo che divide il suo mantello con il povero.
La terza scena descrive l’invito ad “alloggiare i pellegrini” ed è resa a contrariis con una scena di violenta intolleranza contro i diversi.
La quarta scena, con l’invito a “visitare gli infermi”, mostra un gruppo di donne che si prende cura maternamente di un uomo disteso su un giaciglio. Sul fondo sono incise la data dell’opera e la firma dell’artista.
La quinta scena rende l’invito a “visitare i carcerati” con l’immagine di Papa Giovanni XXIII che si reca in visita al carcere romano di Regina Cœli e benedice i carcerati dietro le sbarre.
La sesta scena, in alto, descrive l’opera di misericordia di “seppellire i morti” e raffigura un defunto deposto nella bara di legno tra lo strazio dei familiari presenti. Gli angeli consolano i sopravvissuti indicando la speranza del Cielo.
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