Itinerario nella provincia di Frosinone
Cose dell’altro mondo in Ciociaria
Le tappe dell’itinerario
Il Paradiso di Cicerone tra le stelle della Via Lattea
Arpino è un bel paese, adagiato su un colle della Ciociaria. Vi è nato Marco Tullio Cicerone e gli arpinati fanno di tutto per ricordarcelo. Persino il sito web ufficiale del Comune saluta in latino i “navigatori”: “Arpinum Ciceronis patria, vos omnes salvere iubet”. Tutti gli anni vi si celebrano le “olimpiadi” del latino, il "Certamen Ciceronianum Arpinas". Istituito nel 1980 dal Liceo-Ginnasio "Tulliano", il Certamen è una vera e propria "gara" di traduzione e commento di un brano di Cicerone, alla quale partecipano gli studenti delle ultime classi dei licei italiani e stranieri: una valida occasione d’incontro e di scambio tra giovani provenienti da diverse parti del mondo, che ha sempre goduto dell'attenzione e della presenza di studiosi di fama internazionale.
Forse una bellissima notte estiva ad Arpino e la magia di un cielo stellato hanno ispirato a Cicerone una celebre visione del Paradiso. E’ tutto raccontato nel suo De Repubblica, scritto tra il 54 e il 51 avanti Cristo. Cicerone immagina che Scipione Emiliano, distruttore di Cartagine, addormentatosi nella sua villa, sia trasportato nell’aldilà dove incontra il suo omonimo, Scipione l’Africano, quello che battendo Annibale aveva salvato Roma. “Ostendebat autem Karthaginem de excelso et pleno stellarum, inlustri et claro quodam loco” (“Mi indicava Cartagine dall’alto di un luogo elevatissimo e pieno di stelle, luminoso e nitido”). L’Africano introduce il nipote allo splendore del cosmo e gli indica le leggi che ne dirigono gli armonici moti. Il cielo è il paradiso dei politici, il premio per tutti coloro che hanno perseguito il bene comune. “Per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della patria, si siano adoperati per essa, l’abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna. A quel sommo dio che regge tutto l’universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla base del diritto, che vanno sotto il nome di città: coloro che le reggono e ne custodiscono gli ordinamenti partono da questa zona del cielo e poi vi ritornano”.
Tra le stelle, Scipione scorge l’anima del padre Paolo venirgli incontro. L’incontro è commovente, intessuto di abbracci, baci, lacrime. Il figlio vorrebbe ricongiungersi al padre, in cielo. Ma il padre lo frena. “No, – dice – se non ti avrà liberato dal carcere del corpo quel dio cui appartiene tutto lo spazio celeste che vedi, non puoi accedere a questo luogo”. La missione degli uomini è quella di occuparsi delle cose terrene: “custodire quella sfera là, chiamata terra, che tu scorgi al centro di questo spazio celeste”. Il cielo contiene le anime degli uomini: “a loro viene fornita l’anima dai fuochi sempiterni cui voi date nomi di costellazioni e stelle, quei globi sferici che, animati da menti divine, compiono le loro circonvoluzioni e orbite con velocità sorprendente”. E poi il paradiso sarà il premio per tutti quelli che coltivano la giustizia e il rispetto, valori che giungono al vertice quando riguardano la cura della propria patria.
A questo punto la descrizione dell’elisio diventa poetica, lirica. Il paradiso – comunità di uomini giusti – occupa una fascia del cielo risplendente tra le fiamme, dal candore abbagliante: la Via Lattea. “Da qui, a me che contemplavo l’universo, tutto pareva magnifico e meraviglioso. C’erano, tra l’altro, stelle che non vediamo mai dalle nostre regioni terrene; inoltre, le dimensioni di tutti i corpi celesti erano maggiori di quanto avessimo mai creduto; tra di essi, il più piccolo era l’astro che, essendo il più lontano dalla volta celeste e il più vicino alla terra, brillava di luce riflessa”.
Ma alla visione beatifica dei cieli stellati si aggiunge la percezione musicale di un suono rasserenante. “Ma che suono è questo, – si chiede Scipione – così intenso e armonioso, che riempie le mie orecchie?” E l’Africano risponde: “E’ il suono che sull’accordo di intervalli regolari, eppure distinti da una razionale proporzione, risulta dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse e, equilibrando i toni acuti con i gravi, crea accordi uniformemente variati”. E qui Cicerone definisce una duplice, stupefacente conseguenza. La prima è che la musica composta e suonata sulla terra trae origine dalla perfezione della musica generata dalle orbite celestiali. E la seconda è che il destino di tutti i musicisti, dopo la morte, è quello di essere accolti nel Paradiso ultraterreno. Imitando il suono celeste – dice Scipione – “gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare qui, come gli altri che, grazie all’eccellenza dei loro ingegni, durante la loro esistenza terrena hanno coltivato gli studi divini”.
Ma non tutti gli uomini possiedono un animo così elevato. Ci sono anche quelli “che si sono dati ai piaceri del corpo”, quelli che si sono offerti “per così dire, come loro mezzani”, quelli che hanno violato le leggi divine e umane “sotto la spinta delle passioni schiave dei piaceri”. Cicerone li vede destinati ad un triste esilio nello spazio, un lungo purgatorio errante. “La loro anima, abbandonato il corpo, si aggira in volo attorno alla terra e non ritorna in questo luogo, se non dopo aver vagato tra i travagli per molte generazioni”.
Qual è l’insegnamento morale che si può trarre dalla visione di Scipione? Che cosa vuole insegnarci Cicerone?
Ecco la conclusione, lapidaria: “Se intendi mirare in alto e fissare il tuo sguardo su questa sede e dimora eterna, non concederti alla mentalità comune e non riporre le speranze della tua vita nelle ricompense umane: la virtù stessa, con le sue attrattive, deve condurti verso il vero onore”.
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