Itinerario nella provincia di Frosinone

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Le tappe dell’itinerario

I vizi capitali secondo San Tommaso d’Aquino


L’inferno di Pofi è simpatico ma anche un po’ inquietante. Abbiamo visto in questo affresco che i superbi, gli avari, i lussuriosi, gli iracondi, i golosi, gli invidiosi e i pigri sono considerati peccatori “capitali” e sono destinati al più profondo dell’inferno. A pensarci bene, se così veramente fosse, chi potrebbe mai scampare alla dannazione eterna? Il panino con la porchetta che ho acquistato dopo la visita agli affreschi e che ho mangiato – ebbene sì, lo confesso – con non celata golosità, mi trasformerà in porchetta arrostita dai diavoli sullo spiedone infernale? E non voglio nemmeno pensare agli altri vizi: sto già arrossendo al solo enumerarli. La soluzione la trovo inaspettatamente sulla carta stradale del Touring che sto consultando per trovare la strada di casa. Non lontano da qui c’è Aquino. E Aquino, lo sanno tutti, è la patria di San Tommaso, il dotto maestro di teologia e di etica, il grande dottore della Chiesa.  Certo, Tommaso è sepolto da qualche secolo nell’abbazia cistercense di Fossanova; e perfino Aquino litiga con Roccasecca l’onore di essere la città natale del grande domenicano. Ma in una vetrina del paese trovo quel che cercavo. Un librone scritto dall’Aquinate e intitolato “i vizi capitali”. Lo sfoglio e corro subito alla questione XIV: la gola. Proprio quel che mi interessava. “Articolo 1. Se la gola sia sempre peccato”.  Ecco la risposta di Tommaso: “Sembra di no. Nessuno, infatti, pecca nel fare ciò che non può evitare. Nel mangiare il piacere si mescola all’esigenza naturale; che cosa chieda l’esigenza naturale e che cosa reclami il piacere non si riesce a distinguere. Dunque, la gola non è peccato”.  Ragionamento ineccepibile. Sostenuto anche dall’autorità di Agostino e Gregorio. Proprio bravo questo Tommaso. Sono salvo. Dopo il panino alla porchetta, forse posso anche tranquillamente sedermi a pranzo di fronte a un piatto di gnocchi al sugo di castrato. Ma Tommaso la sa lunga. Non procede in maniera dogmatica, come chi sa di possedere una verità indiscutibile. Tiene invece conto dell’esperienza concreta della gente, ragiona sulla “volontà disordinata”, una volontà che “desidera un bene (interiore, esteriore, inferiore) non desiderabile” o che “fugge qualcosa da non fuggire”. Insomma un esame di coscienza salutare. Il librone ha più di seicento pagine. Ma qui possiamo limitarci a distillarne almeno la definizione di ciascuno dei sette vizi capitali.

-Vanagloria: “Si parla di vanagloria quando qualcuno si gloria del falso (per esempio di un bene che non ha), o di una cosa effimera, che passa facilmente, o quando qualcuno non dirige la sua gloria al debito fine”.

-Invidia: “E’ tristezza per la felicità o la gloria altrui. Uno se ne rattrista per la ragione che vuole eccellere in modo singolare; onde colui che è superato da qualcuno nella gloria e nella felicità, e di ciò si duole, propriamente si dice che ha invidia”.

-Accidia: “Comporta una certa tristezza proveniente dalla ripugnanza dell’affezione umana per il bene spirituale: tale ripugnanza, infatti, si oppone manifestamente alla carità, che aderisce al bene divino e gioisce in esso”.

-Ira: “E’ la volontà di nuocere al prossimo ingiustamente per qualche offesa precedente. Oggetto dell’ira è una vendetta ingiusta, che non è niente altro che un danno inferto al prossimo contro ciò che gli è dovuto per giustizia”.

-Avarizia: “Significa una disordinata cupidigia di denaro. Ma questo termine è stato esteso per significare una disordinata cupidigia di qualsiasi bene”.

-Gola: “Il peccato di gola consiste nella brama disordinata del piacere dei cibi. Il desiderio di questa realtà piacevole può essere disordinato in due modi: in modo da escludere l’ordine al fine ultimo e rispetto ai mezzi quando uno brama troppo cibo”.

-Lussuria: “Comporta principalmente un certo disordine per eccesso circa i desideri dei piaceri venerei. L’atto di lussuria può essere disordinato in due modi: in un modo a causa del solo disordine dell’atto di desiderio, in un altro modo anche a causa del disordine dello stesso atto”.

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