Itinerario nella provincia di Torino
Giaglione. I virtuosi in paradiso e i viziosi all’inferno
Le tappe dell’itinerario
Scoprire opere d’arte nelle realtà paesane dona sempre un’emozione viva. Si resta stupiti di come anche in realtà periferiche sia stato possibile creare una committenza, attrarre gruppi di artisti urbani, trasmettere un messaggio articolato ai contemporanei e tramandarlo ai posteri. Accade così anche a Giaglione (o Jaillons), borgo negli immediati dintorni di Susa, dove rintracciamo con un po’ di fatica la piccola cappella di Santo Stefano, situata nel cuore della borgata omonima. La parete esterna della cappella è decorata da un ciclo affrescato, raffigurante la Cavalcata dei Vizi e delle Virtù, assegnato ai pinerolesi Bartolomeo e Sebastiano Serra e datato dalla critica tra il 1483 e il 1490. Contendendo l’angusto spazio della strada alle rare auto di passaggio, osserviamo che il ciclo si dipana su tre fasce sovrapposte, dedicate rispettivamente alle Virtù, ai Vizi e alle corrispondenti pene infernali.
Le virtù sono interpretate da figure femminili, assistite dagli angeli. Sono l’umiltà, la generosità, la castità, la pazienza, la temperanza, la carità e la diligenza. Il loro orizzonte è il paradiso, la città turrita dell’apocalittica Gerusalemme Celeste.
I vizi capitali sono invece presentati come un triste corteo di uomini e donne, legati tra loro da una catena al collo, a cavallo di simboliche bestiacce. Sono la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’ira, la gola, l’invidia e l’accidia. La cavalcata è trascinata da diavoli verso l’inferno, descritto come la gola del Leviatano biblico.
La fascia inferiore immagina le pene infernali collegate ad ogni singolo vizio.
Leggiamo ora l’affresco in modo verticale, contrapponendo il singolo vizio alla corrispondente virtù e verificando la punizione attribuita ai viziosi. Questo tipo di lettura trasmette con maggiore evidenza il senso pedagogico delle immagini e gli ammonimenti ai fedeli.
L’accidia è contrapposta alla diligenza. Il messaggio è rivolto primariamente alle donne impegnate nei lavori domestici. L’accidia è infatti impersonata da una donna discinta, con i capelli sciolti e il grembiule in disordine, che trascura il lavoro della filatura con la rocca e il fuso e cavalca un asino indolente. Un diavolo la sospinge col forcone. La diligenza, al contrario, è una donna attiva, che indossa un lungo abito chiuso, con i capelli curati, raccolti e velati, che cuce e ricama una stoffa e che dispone del cesto con i gomitoli, l’ago e il filo; un angelo l’assiste pronto a recidere con le forbici il filo eccedente. Per la pena del contrappasso “paresios e paresiose” si ritrovano in un inferno desertico e roccioso costretti a correre senza sosta a braccia alzate per sfuggire ai morsi dei serpenti.
L’invidia è contrapposta alla carità. Vizio tipico delle corti, l’invidia è impersonata da un elegante giovin signore che segna a dito i suoi vicini e cavalca uno sciacallo con un osso in bocca. Un diavolo gli suggerisce maldicenze all’orecchio. La carità, al contrario, desidera il bene del prossimo. La impersona una balia che allatta un infante in fasce e che non esita ad attaccarsi al seno un secondo neonato, portatole da un angelo. La pena comminata all’inferno a “envidios e envidiose” è quella del freddo: i dannati, sotto un cielo opaco, sono imprigionati in un lago ghiacciato.
La gola è contrapposta alla temperanza. A cavallo di un avido lupo, il goloso ha in mano un lungo spiedo sul quale è infilato un coscio arrostito e beve da una brocca che gli è porta da un diavolo. La giacca, la camicia e la cintura non reggono la pressione del ventre e si strappano al centro. La temperanza, viceversa, consuma il suo sobrio pasto seduta a tavola, sotto lo sguardo soddisfatto di un angelo: sul desco ha una cipolla, un aglio, una rapa e delle carote, accompagnate da un panino e da tre frutti; la donna allunga con l’acqua la scarsa dose di vino che si è già versata nel bicchiere. All’inferno, “golos e golose” siedono a una tavola imbandita, mentre un diavolo-cameriere porta in continuazione vassoi colmi di rospi. I diavoli costringono con la forza i dannati a ingozzarsi con questo cibo ributtante.
L’ira è contrapposta alla pazienza. In preda a un violento attacco di collera dai caratteri epilettici, accentuato dal diavolo alle sue spalle, l’ira arriva all’autolesionismo e si suicida infilzandosi un pugnale appuntito nel petto. Monta un feroce felino, un magnifico esemplare di leopardo maculato. La pazienza è invece impersonata da una donna remissiva, con le braccia incrociate sul petto, sostenuta da un angelo, che prende schiaffi senza reagire. All’inferno “iros e irose” sono legati su tavoli di legno in una sotterranea sala di tortura e subiscono senza poter reagire le continue punture che i diavoli somministrano loro con lunghi spilloni.
La lussuria è contrapposta alla castità. La lussuria è una donna voluttuosa che si ammira allo specchio e tira maliziosamente su la gonna svelando la gamba e le calze rosse con la giarrettiera. Un diavolo le liscia i capelli e le allunga una boccetta di profumo. Cavalca un capro, proverbiale simbolo di sfrenata brama sensuale. La castità, al contrario, è simboleggiata da una monaca in preghiera, in ginocchio e a mani giunte, che legge i libri sacri aperti da un angelo. All’inferno “lusurios e lusuriose” sono precipitati in tre pozzi dove subiscono la pena del fuoco: I diavoli li spingono tra le fiamme con i forconi.
L’avarizia è contrapposta alla generosità (largitas). L’avaro è un ricco mercante a cavallo di un cinghiale. Con una mano regge un sacchetto di monete e con l’altra controlla la disponibilità di una larga scarsella. La generosità è invece simboleggiata da una donna che distribuisce elemosine e, in particolare, dona una moneta a un povero zoppo. All’inferno “avaricios e avariciose” subiscono la punizione della bollitura in cinque pentoloni retti da treppiedi, perseguitati da diavoli armati di raffi, mazze e forchettoni.
La superbia è contrapposta all’umiltà. Un orgoglioso sovrano in abiti regali e con la spada sguainata, simbolo del suo potere, si pone all’avanguardia della carovana dei vizi. Cavalca un leone, notoriamente re del mondo animale. Prefigurando ormai il suo prossimo destino di perdizione, un diavolo dispettoso gli fa cadere la corona regale dal capo. L’umiltà abbandona i segni del suo rango, attesa da un angelo che la introduce nel regno dei cieli. All’inferno “superbios e superbiose” sono sottoposti alla tortura della ruota. I dannati sono infilzati ai ganci del cerchio esterno delle ruote. I diavoli girano la manovella e fanno andare vorticosamente le ruote costringendo i superbi ad andare continuamente su e giù, in un’oltraggiosa alternanza di innalzamento e abbassamento.
I due cicli delle virtù e dei vizi trovano la loro conclusione nella visione del paradiso e dell’inferno. Il paradiso è una città fortificata, cinta di mura merlate. È chiaro il richiamo alla Gerusalemme celeste, la città di Dio scesa sulla terra. Ma la piccola selva di alberi fronzuti che è visibile all’interno delle mura richiama altresì l’idea del giardino dell’Eden. L’ingresso della città santa è vigilato da San Pietro, ospitato in una garitta. Egli apre le porte con le chiavi del regno e vi accoglie i virtuosi. I beati ascendono una torre di forma esagonale, coperta da una cupola di metallo, e si affacciano sulla loggia per godere della visione beatifica di Dio Padre, circondato dal coro dei serafini e dagli intercessori (Maria e Giovanni) in preghiera.
L’accesso all’inferno avviene attraverso la mostruosa bocca dentata del Leviatano. I diavoli la percorrono impunemente, pronti ad accogliervi al rullo dei tamburi la carovana dei vizi. Sul retro della gola inghiottitrice sono visibili alcuni dannati posti in una grande marmitta ed altri fuoriusciti da caverne fiammeggianti. Questi particolari fungono da introduzione alla descrizione analitica delle pene infernali visibile nella fascia inferiore.
La lezione morale che l’affresco vuole consegnare ai passanti è condensata in due brevi ammonimenti scritti: «vous qui regardes ceste istoire, metes la bien en vos memoire» e «vous seriez bien miserabile si vous prenez conseygl du diable». Un testo più lungo richiama la vicenda di Lazzaro, il fratello di Marta e Maria, resuscitato da Gesù e attesta che ciò che il passante vede è quanto Lazzaro ha potuto osservare nell’Oltretomba, nel tempo compreso tra la sua morte e la sua risurrezione.
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