Itinerario nella provincia di Torino
Grosso. Le virtù e il corteo dei vizi a San Ferreolo
Le tappe dell’itinerario
Siamo nel Canavese, non lontani da Torino, sulla strada che dall’aeroporto di Caselle conduce alle valli di Lanzo. Grosso, a dispetto del nome, è un piccolo comune di origine medievale sorto sulla sponda sinistra della Stura. Un borgo che custodisce una preziosa gemma d’arte che si svela del tutto inaspettata in aperta campagna, dove non si penserebbe mai di trovarla. È la chiesetta rurale di San Ferreolo, una cappella amorevolmente custodita dagli abitanti della vicina cascina e sede di feste popolari campestri. San Ferreolo è un francese di Borgogna, martirizzato nei primi secoli per aver evangelizzato la Franche Comté, regione della Francia orientale. Le origini della cappella potrebbero risalire al secolo undicesimo. Oggi si presenta con una struttura semplicissima, tirata su con ciottoli di fiume e decorata all’esterno da archetti pensili e da una deliziosa absidiola. All’interno, un affresco del dodicesimo secolo copre la conca absidale: Cristo, in maestà, seduto su un ricco trono, regge un libro con la scritta «ego sum via, veritas et vita», ovvero «io sono la via, la verità e la vita», un versetto tratto dal vangelo di Giovanni (14,6). L’immagine è chiaramente parusiaca, come conferma la “mandorla” bordata dall’arcobaleno della nuova alleanza. Intorno compaiono il tetramorfo (i simboli dei quattro evangelisti) e gli intercessori (la madre Maria e Giovanni Battista). La fascia sottostante, piuttosto rovinata, propone le figure dei dodici apostoli: il primo è Simone (Pietro); si riconosce anche Giovanni con la sua lettera aperta sul versetto «Deus caritas est».
L’affresco absidale è una visione della seconda parusia del Signore, che verrà alla fine dei tempi per giudicare l’umanità sulla base delle opere. Qualche secolo più tardi i fedeli del luogo hanno voluto completare il messaggio contenuto nel dipinto centrale, quasi a renderlo più concreto, esplicito e comprensibile anche per le persone più semplici. E così, per spiegare in che modo guadagnarsi la salvezza eterna e schivare l’eterna dannazione, sulla parete interna sinistra vengono affrescati i vizi e le virtù. Le sette virtù sono descritte nella fascia dipinta più in alto, come sante donne collocate all’interno delle nicchie di un santuario: sono dame che indossano lunghi abiti, hanno in testa la corona gloriosa della virtù e un simbolico cilicio che cinge loro i fianchi. I sette vizi capitali sono descritti nella fascia dipinta in basso da figure di donne che cavalcano una bestia, anch’essa simbolo del vizio corrispondente. Secondo un modello diffuso in Piemonte, Liguria e nella vicina Francia, i viziosi sono raffigurati in un corteo che finisce dritto nella bocca dell’Inferno, seguendo il ritmo di marcia dettato da una cornamusa suonata da un diavolo nero.
Il primo vizio capitale è ovviamente la Superbia: una donna regale, con scettro, stemma e corona, che cavalca l’animale-simbolo del leone; due demonietti cercano di buttarle giù la corona, mentre le si dipinge sul volto la tristezza di vedere davanti a sé la sorte che l’attende. La virtù che la sovrasta è l’Umiltà (humilitas), caratterizzata dall’agnellino nelle mani.
Il secondo vizio capitale è l'Avarizia (Avaricia): cavalca un cinghiale o una scimmia legata e tesaurizzata con una catena, è scalza (pur di risparmiare), stringe tra le mani un sacchetto di denari, porta alla cintura una scarsella e la chiave che apre la cassa dei propri beni. La virtù contrapposta all’avarizia è la Carità (caritas): meno frigida delle altre, indossa un elegante abito rosso e distribuisce monete d’oro a due bimbi nudi.
Il terzo vizio è l'Ira (Ira ira): i diavoli le sconvolgono i capelli mentre lei si ferisce la gola con un pugnale in uno scatto di collera incontrollata e autolesionista; l’animale-simbolo è l’orso, temuto per la sua proverbiale aggressività quando provocato. All’ira si contrappone la Pazienza (paciencia), raffigurata come una monaca velata, con le mani giunte nel gesto della preghiera, che porta sulle spalle un simbolico giogo.
Il quarto vizio è la Lussuria: la sua immagine è completamente svanita; restano visibili solo le ali del solito diavoletto nero e la zampa di un caprone, animale famoso per la sua brama sessuale, che il vizio cavalcava. Meglio conservata, anche se non integra, è la figura della virtù contrapposta al vizio della lascivia: si tratta della Castità, facilmente identificabile dal suo segno identitario, il bianco della purezza, colore del suo vestito e del giglio che ha in mano.
Il quinto vizio è la Gola (Gula): la donna porta in grembo una padella, con il gancio appena tolto dal camino, che contiene un magnifico pollo arrosto; con una mano ne strappa un cosciotto e lo porta golosamente alla bocca; l’animale che cavalca è ovviamente il lupo, famoso per il suo famelico appetito. Le si contrappone la virtù dell'Astinenza (abstinencia), simboleggiata da quel microscopico piatto quaresimale che la dama mostra al suo pubblico e che contiene un pasto frugalissimo, fatto di acqua, pane e verdura; la carota che porta alla bocca è una scena tristissima.
Il sesto vizio è l'Invidia (Invidia): il gesto di allargare le braccia e la smorfia del viso torturato dal diavolo esprimono bene tutto il disappunto e la rabbia che la dama prova nel vedere le gioie degli altri, motivo per lei di recriminazione; La donna invidiosa cavalca una volpe (o una faina). La virtù contrapposta è quella della Temperanza (temperencia), ovvero la forte capacità di controllare i propri comportamenti e frenare le proprie emozioni: la virtù è resa molto efficacemente dalla delicata operazione che la signora dai lunghi capelli mossi va compiendo, ovvero il travaso dell'acqua da una brocca all'altra, con estrema attenzione.
L’ultimo vizio è l’Accidia (Pigricia): è interpretato da una donna inane, che stringe un cuscino in mano mentre un diavolo le pettina i capelli; è mollemente seduta, quasi accasciata, sul dorso di un asino, animale che è proverbiale simbolo di pigrizia e di recalcitrante resistenza a ogni sollecitazione. Alla pigrizia si contrappone la virtù della Provvidenza (providencia), personificata in una donna volitiva, simbolicamente bifronte (il volto è affiancato da un viso lunare che guarda al passato e da un viso solare che guarda al futuro), che ha in una mano un compasso e nell’altra il globo e che grazie al suo fattivo attivismo e alla sua capacità di progettazione realizza le opere necessarie per migliorare la vita collettiva.
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