Itinerario nella provincia di Venezia
Venezia. L’idrografia infernale di Tintoretto
Le tappe dell’itinerario
A Venezia, nel sestiere di Cannaregio, in prossimità della suggestiva laguna di settentrione, sorge la chiesa di San Cristoforo, detta della Madonna dell’Orto. Essa è sede di una grande tela del Tintoretto dipinta nel 1562 e dedicata al Giudizio universale. Questa tela è un unicum nella rappresentazione del Giudizio. Il fuoco dell’Inferno qui non esiste. Al suo posto c’è un fiume d’acqua che rompe gli argini e con le sue cateratte procura una disastrosa alluvione che travolge uomini e cose. La corrente torrenziale nasce da lontanissime sorgenti, si direbbe dalle viscere del quadro, ma poi s’ingrossa, precipita dall’argine, si confonde con la terra, le piante, il fango, i corpi dei risorti, gli scheletri dei risorgenti. Tintoretto realizza una sintesi potente tra il Giudizio divino e il Diluvio universale che già punì i peccatori all’epoca di Noè, secondo il racconto della Genesi: «le acque del diluvio furono sopra la terra; eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. Le acque furono travolgenti e crebbero molto sopra la terra e l'arca galleggiava sulle acque. Le acque furono sempre più travolgenti sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo» (Gen 7). Il ruolo punitore delle acque è presente anche nel libro della Sapienza («Si metterà in fermento contro di loro l'acqua del mare e i fiumi li travolgeranno senza pietà» - Sap 5,22) e nei Salmi: «Liberami dal fango, perché io non affondi, che io sia liberato dai miei nemici e dalle acque profonde. Non mi travolga la corrente, l'abisso non mi sommerga, la fossa non chiuda su di me la sua bocca» (Sal 69,15-16).
Tintoretto, a sottolineare ulteriormente il carattere punitore delle acque, introduce il tema della barca di Caronte che traghetta le anime dei dannati verso i lidi infernali e la città di Dite. Come anche nel Giudizio di Michelangelo, la barca di Caronte collega la teologia del tempo alle fonti classiche. Nella mitologia classica l’Inferno è il luogo in cui scorrono e s’incrociano diversi fiumi: il fiume del pianto (Cocito), il torrente di fuoco (Piriflegetonte), la corrente di dolore (Acheronte) e il fiume dell’odio (Stige). Nel canto XIV dell’Inferno Virgilio spiega a Dante l’origine dei fiumi infernali che nascerebbero dalle profonde fessure che incrinano dall’alto al basso la statua del Veglio di Creta, e da queste fessure colano lacrime, un pianto ininterrotto che, raccogliendosi sul fondo della grotta, va a formare l’unico fiume che scende poi nella voragine infernale, chiamandosi di volta in volta Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito («Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
/ d’una fessura che lagrime goccia,
/ le quali, accolte, fóran quella grotta. / Lor corso in questa valle si diroccia;
/ fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
/ poi sen van giù per questa stretta doccia,
/ infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta» - Inferno XIV, 112-20).
A presiedere il Giudizio è il Cristo, sceso dall’empireo e venuto a sedersi sulle nuvole. Lo affiancano Giovanni il Battista e la madre Maria nel ruolo degli intercessori. La doppia sentenza di salvezza e di condanna è simboleggiata da due particolari: dalla bocca del Cristo spuntano a un tempo la spada della giustizia e il giglio della misericordia; le mani del Cristo sono rivolte ai giusti nel gesto dell’accoglienza e ai malvagi nel gesto del rifiuto.
La struttura verticale della tela costringe Tintoretto a collocare in prospettiva, su più piani digradanti, il tribunale celeste e la corte dei beati. Una presenza originale, prossima al Cristo, è quella delle virtù teologali personificate: molto tenera è la figura della Carità che si slancia verso Gesù tenendo in braccio i due bimbi che allatta. Si riconoscono poi gli apostoli (ad esempio Andrea con la croce e Bartolomeo con la pelle del martirio), i profeti e i martiri (Caterina d’Alessandria, Lorenzo e Sebastiano). Intrecciati al flusso ascendente dei beati si lanciano in picchiata verso la terra i quattro angeli tubicini che fanno squillare le loro trombe per risvegliare i morti e il grande arcangelo Michele ponderator che gestisce la bilancia a doppio piatto per la pesatura delle anime.
Sotto la descrizione dei fiumi infernali e dei dannati portati tra la perduta gente, vediamo la scena impressionante e potente della risurrezione dei corpi. I morti emergono dalle tombe o dalla nuda terra ancora sporchi di terriccio e delle radici delle piante. Gli scheletri riacquistano la carne, i muscoli e la pelle. I risorti, ancora storditi, prendono progressiva coscienza del loro destino. Un angelo plana sulla terra e abbraccia un beato, strappandolo alla terra per portarlo in cielo.
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