Itinerario nella provincia di Bolzano
Bressanone. Tracce di aldilà nel chiostro del Duomo
Le tappe dell’itinerario
Bressanone (Brixen, in tedesco) è città dotta, austera, densa di memorie; è il capoluogo storico e artistico del comprensorio della Valle Isarco; fu fin dal Mille e per molti secoli soggetta alla dominazione ecclesiastica di un principe-vescovo. La sua cattedrale (Brixner Dom) risale al Duecento ma ci si presenta oggi in stile barocco. La maggiore attrazione è il vecchio chiostro (Alter Kreuzgang) adiacente al Duomo, realizzato in stile romanico nel XIV secolo, in buona parte affrescato sulle volte con le scene del vecchio e del nuovo testamento. Il complesso comprende anche la Cappella di corte dedicata a San Giovanni, decorata da affreschi romanici, e la Chiesa palatina di Nostra Signora in ambitu. Passeggiando per il chiostro possiamo osservare un’infinità di scene e personaggi spesso familiari a chi pratica le sacre scritture, ma non di rado enigmatici perchè molto legati alla cultura medievale. Un esempio per tutti è la scena che decora la lunetta della nona arcata e che vede alcuni infelici infilzati ai rami spinosi di alberi spogli: chi ricorda che questa scena è presente in tanti raffigurazioni medievali delle punizioni che l’Inferno riserva agli iracondi, resta certamente sorpreso nell’apprendere che si tratta in realtà del martirio cui fu soggetto Acazio con i suoi diecimila compagni, crocifissi sugli alberi ai piedi di una montagna.
Tra le visioni dell’aldilà va citata l’Anastasis, ovvero la discesa di Gesù al Limbo dei Padri, nell’intervallo tra la sua morte e la risurrezione. Essa si trova sulla lunetta della quinta arcata. Gesù ha il nimbo crociato sul capo e stringe in mano il vessillo della vittoria. La figura alle sue spalle, con la croce tra le braccia, è il buon ladrone Disma, cui Gesù ha promesso il Paradiso. Gesù scardina le porte degli inferi e libera dalla loro prigionia gli spiriti giusti dell’antico testamento: afferra per una mano Adamo, traendolo a sé; dietro di lui seguono Eva e gli antichi patriarchi biblici.
La visione del giudizio finale è presente con la scena della psicostasia, visibile sulla lunetta della seconda arcata. Il protagonista è l’arcangelo Michele sontuosamente vestito con una lunga tunica bianca e un mantello rosso. Con le ali si libra su un paesaggio di rocce rotte, l’ambiente in cui avviene la risurrezione dei morti. Michele regge con la mano sinistra una grande bilancia a due piatti. Sul piatto è l’anima risorta di un giusto, raffigurato in ginocchio e in preghiera a mani giunte. Un diavolo cerca di condizionare a proprio vantaggio la pesatura, trafficando con l’altro piatto. Le sue manovre sono però energicamente contrastate dalla lunga spada che Michele impugna con la mano destra e che mette in fuga la creatura diabolica.
Due vele della volta dell’ottava arcata sono dedicate rispettivamente ai vizi e alle virtù. La scena delle virtù è purtroppo andata perduta, salvo un brandello dedicato alla prudencia. L’allegoria dei vizi è invece ben leggibile ed originale. L’inizio di tutti i mali è individuato nel peccato originale: il diavolo, in forma di serpente con la testa di donna, avvolge nelle sue spire l’albero del bene e del male e tenta Eva; la prima donna porge ad Adamo la mela del peccato. Dalle radici dell’albero del peccato originale, infestate dal serpente diabolico, si dipartono sette rami carichi dei frutti del male. I sette peccati capitali sono simboleggiati da altrettante figure diaboliche che prefigurano le corrispondenti pene dell’inferno: i diavoli sono rappresentati uno diverso dall’altro: hanno colori diversi, volti mostruosi e impugnano differenti strumenti di offesa: forcone, rastrello, mazza ferrata, piccone, lancia, rampino. Ciascun diavolo regge un cartiglio che descrive il peccato capitale (principale vicium) e i vizi apparentati:
Invidia (Odium, Afflictio in prosperis, Amaritudo, Zaspis Adversariorum, Exultatio in adversis inimici, Malicia, Detractio, Sussurracio)
Accidia (Pusillanimitas, Desperacio, Timorancia, Tristicia, Raucor, Torpor, Quorela)
Gula (Ebrietas, Hebetudo, Inmundicia, Voracitas, Languor, Oblivio, Crapula)
Avaricia (Simonia, Philargia, Periurum, Violencia, Usura, Fraus, Rapina, Fallacia)
Ira (Clamor, Blasphemia, Luctus, Furor, Contumelia, Protervia, Rixa)
Vanagloria (Ypocrasia, Adulacio, Inventor, Iactancia, Arrogancia, Loquacitas, Pertinacia)
Luxuria (Immundicia, Voluptas in obediencia, Fornicatio).
In basso le estremità del dipinto raccontano la convivenza dei dannati con i diavoli nelle caverne dell’Inferno.
L’undicesima arcata illustra nelle sue vele coloratissime le opere di misericordia corporale: accogliere gli stranieri, dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, seppellire i morti, visitare gli ammalati, consolare i prigionieri, vestire gli ignudi. Le opere di carità sono una metafora del giudizio finale. Nel Vangelo di Matteo, infatti, Gesù associa la carità materiale alla salvezza eterna: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Il messaggio è rafforzato dalla costante presenza della figura di Cristo benedicente alle spalle dei benefattori.
Una delle vele illustra anche la parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone. Anche questa parabola è una potente metafora del Giudizio finale. L’uomo ricco siede alla tavola dell’abbondanza, mentre il povero Lazzaro, nudo e sofferente giace tra i cani che gli leccano le piaghe. Alla loro morte, Lazzaro viene portato in cielo dagli angeli e depositato nel seno del patriarca Abramo, mentre il ricco Epulone finisce nella bocca del Leviatano, tra le fiamme dell’inferno, a chiedere inutilmente una stilla d’acqua.
Un’immagine affrescata riproduce il Leviatano di Giobbe, il mostro infernale che ingoia le anime dei dannati. L’intervento divino vale a catturare in varie forme il mostro e a mettere in salvo le anime. Si tratta dell’illustrazione di alcuni celebri versetti del libro di Giobbe: «Puoi tu pescare il Leviatàn con l'amo e tenere ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un gancio? Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti?» (Gb 40-41).
La chiesa della Madonna (Santa Maria in ambitu) che fiancheggia il chiostro riporta ancora nella volta del sottotetto alcuni brandelli di affreschi romanici risalenti al 1215. Questi affreschi subirono gravi danni e scomparvero alla vista quando si coprì l’intera navata con una volta a crociera. La raffigurazione dei vizi capitali e delle virtù, di numerosi animali simbolici, farebbero pensare alla contrapposizione tra la città di Dio e la città di Satana e potrebbero far parte di un monumentale giudizio universale, purtroppo scomparso.
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